Estremisti di destra all’attacco a Lesbo, diventata il campo profughi più discusso d’Europa. Ora però Atene abolisce le regole che bloccavano nelle isole i richiedenti asilo giunti via mare. E il numero degli arrivi dalla Turchia, già in crescita, rischia di impennarsi
Tutto inizia con la morte di Ali Khoshe, 27enne afghano ricoverato per un problema cardiaco. Decesso, secondo molti connazionali dovuto alla negligenza delle autorità presenti al campo di Moria a Lesbo, dove il ragazzo attendeva di conoscere il suo destino. Martedì scorso, il giorno dopo la morte di Khoshe, duecento richiedenti asilo si sono trasferiti a piazza Sappho, a Mitilene, per un presidio di protesta contro le condizioni di Moria, dove vivono 6mila persone, il doppio della capacità del campo.
Dopo sei giorni di occupazione, domenica la tensione a Mitilene è sfociata in pesanti scontri durati tutta la notte. Un nostro contatto era presente e conferma le notizie diffuse dai media: un attacco pianificato da «un gruppo di estrema destra composto da isolani e da persone giunte da Atene, inclusi tifoserie organizzate di destra e membri di Alba Dorata». In tutto duecento persone.
Gli aggressori hanno tentato di causare la reazione dei richiedenti asilo, e di quanti, cittadini e internazionali, li hanno affiancati. «Il gruppo non ha ceduto alle provocazioni», continua il testimone «gli uomini si sono messi a semicerchio per proteggere donne e bambini». Il lancio di bottiglie, di pietre e di fumogeni è iniziato comunque, in un crescendo proseguito fino alle prime ore di lunedì. Solo allora la polizia è intervenuta dividendo i due gruppi.Un centinaio i fermi e decine di feriti, poi lo sgombero della piazza e il trasferimento forzato dei richiedenti asilo a Moria.
Nulla di fatto dunque per migliorare le condizioni del più discusso campo profughi d’Europa, almeno con le proteste di piazza. Potrebbe però riuscirci la politica. Martedì, infatti, mentre iniziava il presidio di Moria, il consiglio di Stato greco ha stabilito l’annullamento della limitazione geografica per i richiedenti asilo giunti via mare dalla Turchia, definendola incostituzionale. Significa che per i nuovi migranti in arrivo dalla costa turca sarà possibile trascorrere il (lungo) periodo di attesa dell’iter di richiesta asilo sul continente.
La più alta corte amministrativa greca ha voluto così colpire la facoltà di porre il veto sulla mobilità dei richiedenti attribuita al direttore dell’Ufficio per l’asilo (Asylum Servicice), subordinato al ministero per le Migrazioni. Facoltà introdotta il 20 marzo 2016, all’indomani dell’accordo tra Ue e Turchia sulla gestione dei migranti, che imponeva ai nuovi arrivati via Egeo l’obbligo di permanenza sulle isole di Lesbo, Chios, Samo, Lero, Kos e Rodi.
È forse l’incipit di una rivoluzione? Magari lo è nelle promesse politiche e non in pratica. Ma andiamo con ordine. Tutto inizia con l’opposizione alla facoltà di veto del direttore dell’Ufficio per l’asilo da parte del Consiglio greco per i Rifugiati, che ha presentato istanza di annullamento al Consiglio di Stato. Istanza approvata martedì, e non appena la decisione sarà ufficializzata, per i nuovi arrivati sulle isole egee (dal 20 marzo in poi) sarà possibile attendere lo smaltimento delle procedure di asilo sulla terraferma.
La decisione è destinata a porsi come pietra angolare nelle modalità di gestione dei rifugiati in Grecia, in relazione all’accordo con Ankara. L’importanza deriva dal fatto che la massima corte amministrativa abbia preso una posizione chiara sulle inefficienze dell’Ufficio per l’asilo, tentando di risolvere il problema del sovraffollamento delle isole egee, dove al momento 15mila richiedenti asilo restano bloccati negli hotspot in funzione da marzo 2016. Questa concentrazione di persone, unita alla lentezza delle procedure di richiesta asilo, è all’origine delle forti tensioni nei centri di accoglienza, esacerbate da condizioni di vita difficili. A questo si somma l’insofferenza di molti isolani, secondo i quali la concentrazione di migliaia di rifugiati sulle isole sarebbe un disincentivo al turismo, che resta la principale attività economica locale.
Quindi meno stress sugli atolli egei e redistribuzione interna migliorata. È quanto si scorge dalla decisione del Consiglio di Stato. In pratica però, mai come ora vale l’adagio “tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”, in quanto la limitazione alla mobilità per i nuovi arrivi non è limitata al vaglio del direttore dell’Ufficio per l’asilo, ma dipende anche dalla polizia. Facoltà di decidere riservata ai comandi presenti sulle isole, autorizzati – nel caso in cui sia necessario – a emettere ordini di restrizione geografica, rendendo di fatto inefficace la decisione del Consiglio di stato. A complicare le cose si aggiunge il Parlamento di Atene, dove, all’indomani della sentenza della Corte, è stata avviata una nuova riforma – la terza dal 2016 – alle procedure di asilo introdotte assieme al trattato Bruxelles-Ankara, e che di fatto sembra destinata a riproporre le limitazioni geografiche ai nuovi arrivati dalle coste turche.
Malgrado i diversi interrogativi rimasti aperti, il dato oggettivo è che i migranti in arrivo dalla Turchia (dal 20 marzo in poi e senza effetto retroattivo) potrebbero presto muoversi liberamente in Grecia. Ciò accade mentre il Paese registra un sensibile aumento nel numero di arrivi nel primo quadrimestre rispetto allo scorso anno.
Secondo i dati Unhcr, dal primo gennaio al 19 aprile l’Egeo è stato solcato da 7.437 migranti, accolti soprattutto a Lesbo (3.985 arrivi) e Samo (1.726). Significa una crescita negli arrivi in Grecia del 44% rispetto al primo quadrimestre del 2017 (5.164). Il dato più rilevante è che alla crescita degli sbarchi sulle isole egee, corrisponde una riduzione degli arrivi in Italia, 7.540 in tutto da inizio 2018, dove nello stesso periodo del 2017 erano arrivate 37.226 persone.
Ecco che l’annullamento delle restrizioni geografiche ai rifugiati in arrivo sembra offrire un assist d’oro ai trafficanti turchi. Stando così le cose, verrebbe meno l’effetto dissuasivo costituito dalla prospettiva di rimanere bloccati per mesi o anni in un hotspot nel mezzo dell’Egeo, in attesa di conoscere il proprio destino. Abbastanza da indurre molti ad attendere in Turchia, magari cercando altre vie nella rincorsa all’Europa.
Il fatto che il muro amministrativo sia stato abbassato proprio alle porte dell’estate, alla vigilia del picco dei passaggi in gommone, lascia perplessi. È evidente il rischio di dare slancio agli attraversamenti, malgrado la comprensibile volontà di alleggerire la pressione sulle isole e migliorare le condizioni di vita per i richiedenti asilo. Pressione trasferita a questo punto sulle coste turche, dove l’alta stagione dei trafficanti imporrebbe un aumento dei controlli sulle coste da parte di Ankara.
Difficilmente, il presidente turco RecepTayyip Erdoğan accetterebbe di intaccare l’apparenza di protettore dell’Europa dall’invasione dei migranti, sancita dall’accorto del 2016, tantomeno ora, in un momento segnato dalla forte svalutazione della lira turca e dalla necessità di far fronte agli sviluppi in Siria, e soprattutto a soli due mesi dalle elezioni anticipate del 24 giugno.
@EmaConfortin
Estremisti di destra all’attacco a Lesbo, diventata il campo profughi più discusso d’Europa. Ora però Atene abolisce le regole che bloccavano nelle isole i richiedenti asilo giunti via mare. E il numero degli arrivi dalla Turchia, già in crescita, rischia di impennarsi