Trump chiama il coronavirus un “virus straniero” e sospende i voli dall’Europa, senza prima consultarsi con Bruxelles. È un segno dei tempi e della crisi del multilateralismo
Trump chiama il coronavirus un “virus straniero” e sospende i voli dall’Europa, senza prima consultarsi con Bruxelles. È un segno dei tempi e della crisi del multilateralismo
L’amministrazione Trump ha dichiarato venerdì lo stato di emergenza negli Stati Uniti a causa della diffusione del nuovo coronavirus. I casi di contagio confermati sono circa 1630, per la maggior parte localizzati negli stati di Washington (estremo nord-ovest) e di New York (nord-est), anche se il virus è ormai presente su quasi tutto il territorio americano. Tuttavia, visti i pochissimi test effettuati, non è possibile conoscere le reali dimensioni dell’epidemia nel Paese.
Il Presidente Donald Trump è stato molto criticato per la sua gestione – ritenuta tardiva, caotica e superficiale – del problema, oltre che accusato di aver minimizzato la pericolosità del virus. E anche adesso, nonostante la proclamazione dello stato di emergenza e lo stanziamento di 50 miliardi di dollari, l’impressione più diffusa è che la Casa Bianca non possieda un vero piano.
Trump ha definito il SARS-CoV-2 un “virus straniero” e, su Twitter, ha rilanciato la necessità di costruire il muro al confine con il Messico per bloccarne l’ingresso in America. Giovedì scorso ha invece annunciato la sospensione dei voli dall’Europa (Regno Unito escluso), ma senza averne prima discusso con gli alleati nel Vecchio Continente. Bruxelles ha risposto duramente, sostenendo che il coronavirus “è una crisi globale, non limitata a nessun continente” e che, in quanto tale, “richiede cooperazione piuttosto che azioni unilaterali”.
Ma l’unilateralismo è un tratto tipico dell’amministrazione Trump. Di più: è un simbolo sia della fine dell’ordine mondiale a guida americana, sia di una più profonda crisi del multilateralismo.
Negli ultimi anni le grandi organizzazioni multilaterali (e di impianto occidentale) nate dopo la fine della Seconda guerra mondiale, come il Fondo monetario internazionale e il G7, hanno infatti perso rilevanza ed efficacia. Uno dei motivi è che queste istituzioni non rispecchiano più gli attuali equilibri di potere. Pensiamo innanzitutto alla Cina, oggi la seconda maggiore potenza economica, che vuole tra l’altro creare delle proprie alternative alla Banca mondiale o all’Organizzazione mondiale della sanità.
Prendendo in prestito le parole dell’analista Ian Bremmer, stiamo vivendo una fase di recessione geopolitica: lo scenario politico internazionale è frammentato e ogni nazione – o quasi – va per la sua strada. Tutto questo complica la gestione coordinata di una crisi mondiale come quella del nuovo coronavirus. Non ci sarà insomma una sola risposta globale, ma tante diverse risposte locali.
L’amministrazione Trump ha dichiarato venerdì lo stato di emergenza negli Stati Uniti a causa della diffusione del nuovo coronavirus. I casi di contagio confermati sono circa 1630, per la maggior parte localizzati negli stati di Washington (estremo nord-ovest) e di New York (nord-est), anche se il virus è ormai presente su quasi tutto il territorio americano. Tuttavia, visti i pochissimi test effettuati, non è possibile conoscere le reali dimensioni dell’epidemia nel Paese.
Il Presidente Donald Trump è stato molto criticato per la sua gestione – ritenuta tardiva, caotica e superficiale – del problema, oltre che accusato di aver minimizzato la pericolosità del virus. E anche adesso, nonostante la proclamazione dello stato di emergenza e lo stanziamento di 50 miliardi di dollari, l’impressione più diffusa è che la Casa Bianca non possieda un vero piano.
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