Alla fine non c’è stato verso, il 31 luglio l’India non ha mollato la presa e ha fatto saltare lo “storico” trade facilitation agreement che avrebbe snellito burocrazia e regolamentazioni, portando giovamento economico (1 trilione di dollari) e occupazionale (21 milioni di posti di lavoro) nel commercio mondiale. Alcune precisazioni e correzioni rispetto al pezzo di alcuni giorni fa.
A giochi fatti, e finiti male, anche i giornali indiani stigmatizzano una scelta quasi unanimemente giudicata scellerata: mandare all’aria un accordo in pratica fatto (tutti i paesi del Wto avevano raggiunto un consenso durante la conferenza di Bali, India compresa – col ministro del Commercio della passata amministrazione) per ottenere qualcosa in più in un’altra trattativa.
Cosa è andato storto lo spiega credo molto bene l’Economic Times (ET), che fa un elenco di 9 punti sintetizzando il pasticcio enorme causato dall’inaspettato cambio di rotta intrapreso dall’India di Narendra Modi. Qui sintetizzo un po’, ma andatevelo a leggere che è roba importante per capire l’ottusità dimostrata – questa volta più di altre – dai delegati indiani all’interno di dinamiche internazionali.
Il trade facilitation agreement era cosa fatta, ma l’India ha voluto minacciare di boicottarlo per rendere definitiva la deroga già stipulata nell’ambito dei regolamenti sull’accumulo di riso e grano, fondamentale per mantenere il sistema di distribuzione di cibo calmierato sul quale si poggia la food security indiana. Tecnicamente, una violazione delle regole del Wto, ma l’accordo prevedeva un lasso di tempo (quattro anni prima, con offerta di due per convincere Delhi a ritirare il proprio veto) per ridiscutere le quote della food security. L’India ha spinto per un o tutto subito o niente, e ha ottenuto niente, facendo saltare il trade facilitation act contro il volere della quasi totalità degli aderenti al Wto (nell’articolo precedente avevo erroneamente scritto che l’India si era fatta portavoce di alcuni paesi in via di sviluppo, ma pare non sia proprio andata così). Secondo l’ET, Russia, Cina e Brasile sono stati tra i più strenui oppositori al veto indiano (il che rilancia i problemi interni ai Brics di cui si era parlato in passato).
L’India, in definitiva, agli occhi della comunità internazionale si è comportata da paese intrattabile, miope ed egoista. E tanti auguri a trattarci di nuovo.
Alla fine non c’è stato verso, il 31 luglio l’India non ha mollato la presa e ha fatto saltare lo “storico” trade facilitation agreement che avrebbe snellito burocrazia e regolamentazioni, portando giovamento economico (1 trilione di dollari) e occupazionale (21 milioni di posti di lavoro) nel commercio mondiale. Alcune precisazioni e correzioni rispetto al pezzo di alcuni giorni fa.