Il trattato di libero scambio mantiene buoni i rapporti tra i tre Paesi e la priorità degli Stati Uniti è garantirsi la stabilità e l’amicizia del Nordamerica
Gli Stati Uniti sono inseriti in un contesto geografico e politico assolutamente invidiabile: sono l’unica grande potenza al mondo a non dover temere aggressioni militari da terra. Le restanti parti del Nordamerica che li circondano, infatti – il Canada sopra, il Messico sotto –, sono sue alleate. E sono mantenute tali da un trattato di libero scambio che, nonostante qualche frizione, ha portato l’interdipendenza economica e industriale a un punto tale da scoraggiare la nascita di agende dichiaratamente ostili a Washington. Il proseguimento dello status quo, vale a dire un commercio trilaterale da mille miliardi e mezzo di dollari all’anno, conviene insomma a tutti.
Questa condizione dà agli Stati Uniti – una potenza dagli interessi globali – la possibilità di concentrarsi sulla proiezione all’estero, oggi soprattutto nel Pacifico, senza doversi preoccupare troppo della protezione della patria. Il fatto che non si avvistino rischi di invasione dalle due frontiere, però, non significa che i buoni rapporti con Canada e Messico debbano essere dati per scontati. E nemmeno che le cose non possano cambiare. Trascurare i legami di vicinato potrebbe comunque non alimentare minacce militari – né Ottawa né Città del Messico sono sufficientemente forti, da soli –, ma potrebbe rendere quei Governi meno inclini alla cooperazione con l’America e meno disponibili all’allineamento.
La priorità costante degli Stati Uniti è garantirsi la stabilità e l’amicizia del Nordamerica. Tanto più in questo momento storico, dominato da una competizione con la Cina che non si limita al suo contenimento marittimo in Asia ma che passa anche per la superiorità tecnologica ed economica. La legge sulle infrastrutture da oltre mille miliardi di dollari, firmata dal Presidente Joe Biden pochi giorni fa, lo dimostra. Quella con Pechino è di fatto una competizione sulla competitività, che riguarda la logistica e il primato sui settori manifatturieri legati alle transizioni ecologica e digitale. Veicoli elettrici, batterie, semiconduttori, dispositivi per le energie a basse emissioni di carbonio: sono tutti prodotti di cui l’intero pianeta ha e avrà bisogno.
Giovedì Biden si è riunito alla Casa Bianca con gli altri due leader nordamericani – il Presidente messicano Andrés Manuel López Obrador e il Primo Ministro canadese Justin Trudeau –, andando così a riattivare il formato dei Three Amigos. Il precedente vertice trilaterale risale al 2016: poi iniziò il mandato di Donald Trump che, tra retorica accesa e dispute commerciali, incrinò le relazioni nordamericane. L’amministrazione Biden vorrebbe invece recuperarle e rilanciarle, così da compattare il subcontinente in funzione della corsa con la Cina. Tra Stati Uniti, Messico e Canada l’integrazione industriale è già profonda; si tratterebbe allora di aggiornarla al nuovo contesto della “sostenibilità” e ai piani di near-shoring (“l’accorciamento” delle filiere in paesi vicini alla patria).
I presupposti ci sono, le materie prime necessarie anche. Il problema è che il motto di Biden, “Build Back Better”, ha dentro di sé dei contenuti protezionistici – la politica Buy American di favoreggiamento dei beni Made in Usa – che stanno innervosendo Canada e Messico. E che riguardano soprattutto il settore automobilistico, vero cuore del libero scambio regionale. Ottawa si oppone al credito d’imposta (fino a 12.500 dollari) che Biden vorrebbe offrire in patria per l’acquisto di veicoli elettrici assemblati negli Stati Uniti, perché minaccerebbe i produttori canadesi. Se non si troverà una soluzione – e giovedì Biden ha di fatto preso tempo –, la questione potrebbe diventare “dominante” nei rapporti bilaterali, dice il Governo Trudeau. Anche l’amministrazione messicana ha invitato gli statunitensi a concentrarsi meno sul Buy American e più sul Buy North American.
Che queste parole arrivino dal Messico, guidato da un Presidente che ha mostrato disinteresse per i legami con il Nordamerica, è molto rilevante. Ieri alla Casa Bianca López Obrador ha dichiarato che l’integrazione della regione è necessaria e l’accoglienza dei migranti pure, perché questi ultimi forniranno la forza-lavoro necessaria a rispondere alla “espansione produttiva e commerciale della Cina”. Città del Messico agita lo spauracchio cinese davanti a Washington per spingere la propria agenda migratoria. Ha ottenuto da Biden l’investimento in un programma di sviluppo che dovrebbe disincentivare i flussi irregolari verso nord.
I Three Amigos si riuniranno ancora nel 2022, questa volta a Città del Messico. L’interesse geopolitico – la pace in Nordamerica e la vittoria con la Cina – imporrebbe agli Stati Uniti di mostrarsi indulgenti con i suoi vicini e di ricalibrare le politiche più controverse in ottica regionalistica.
Gli Stati Uniti sono inseriti in un contesto geografico e politico assolutamente invidiabile: sono l’unica grande potenza al mondo a non dover temere aggressioni militari da terra. Le restanti parti del Nordamerica che li circondano, infatti – il Canada sopra, il Messico sotto –, sono sue alleate. E sono mantenute tali da un trattato di libero scambio che, nonostante qualche frizione, ha portato l’interdipendenza economica e industriale a un punto tale da scoraggiare la nascita di agende dichiaratamente ostili a Washington. Il proseguimento dello status quo, vale a dire un commercio trilaterale da mille miliardi e mezzo di dollari all’anno, conviene insomma a tutti.
Questa condizione dà agli Stati Uniti – una potenza dagli interessi globali – la possibilità di concentrarsi sulla proiezione all’estero, oggi soprattutto nel Pacifico, senza doversi preoccupare troppo della protezione della patria. Il fatto che non si avvistino rischi di invasione dalle due frontiere, però, non significa che i buoni rapporti con Canada e Messico debbano essere dati per scontati. E nemmeno che le cose non possano cambiare. Trascurare i legami di vicinato potrebbe comunque non alimentare minacce militari – né Ottawa né Città del Messico sono sufficientemente forti, da soli –, ma potrebbe rendere quei Governi meno inclini alla cooperazione con l’America e meno disponibili all’allineamento.