Il Continente nero rappresenta un terzo dei paesi presenti e sbarca a Milano con un carico destinato a nutrire l’intero pianeta.
“Quella dell’Africa all’Expo 2015 di Milano è una presenza storica. Una presenza storica per numero ma soprattutto per qualità. Tutti i paesi, infatti, hanno un proprio padiglione nazionale, non importa se autonomo o inserito in uno dei cluster”. Così Filippo Ciantia, responsabile dei cluster tematici di Expo 2015, evidenzia l’importanza della presenza africana all’edizione milanese dell’Esposizione universale.
Gli Africani rappresentano quasi un terzo dei paesi presenti a Expo, con padiglioni self built (Angola, Nigeria, Marocco) o all’interno dei cluster tematici (molti in quelli del riso, del caffè del cacao, ma anche nelle zone aride, nei tuberi, negli stati insulari), ma soprattutto, grazie alla formula dei cluster, sono in grado di partecipare ciascuno portando in dote la propria diversità e peculiarità, ricordando così come l’Africa sia un continente tanto vasto quanto variegato. “Sono molti gli aspetti che contribuiscono a questa presenza. Il primo è l’importanza che l’Africa ha e che avrà sempre di più in futuro nel compito di ‘nutrire il pianeta’. Il secondo è che questi paesi arrivano con un bagaglio interessante anche dal punto di vista delle ricerche. Lo sviluppo economico di molti paesi africani è andato di pari passo con quello culturale. Tanto nel campo della medicina quanto in quello dell’agricoltura i centri di ricerca africani porteranno il loro contributo di innovazione a tutto il pianeta” aggiunge Ciantia.
La presenza dell’Africa all’Expo di Milano non è casuale. L’Africa corre il serio rischio di diventare il granaio del pianeta nei prossimi decenni.
Il continente, tolte zone protette e forestali, detiene oltre il 50% delle terre coltivabili ancora non sfruttate del pianeta. Un potenziale che va di pari passo a quello delle risorse d’acqua ancora non sfruttate. Secondo gli ultimi studi, l’Africa utilizza il 2% delle proprie risorse idriche rinnovabili a fronte di una media planetaria superiore al 5%. La vastità del suo territorio e dei suoi ambienti e climi, permette inoltre la realizzazione di colture di ogni tipo.
Una situazione che ha portato vari governi e multinazionali del pianeta a investire e a comprare terreni a sud del Sahara. Ma anche gli Africani hanno capito che il settore agroalimentare può diventare la chiave del loro sviluppo e, dopo anni di abbandono e trascuratezza, l’agricoltura è ora considerata la risorsa del continente.
Sacrificata sull’altare della crescita industriale, della sete di materie prime e della finanza, l’agricoltura è tornata ad attirare l’attenzione di governi e comunità economica, ma anche di donors per lo sviluppo. In un continente dove il settore agricolo e quello dell’agribusiness contribuiscono rispettivamente al 25% e al 20% del Pil, occupando oltre il 60% (con punte dell’80%) della forza lavoro, è evidente che ha poco senso parlare di reale sviluppo, di crescita inclusiva o di miglioramenti dell’economia se non si affronta il cuore del settore cardine da cui dipendono i destini di centinaia di milioni di persone.
A spingere i governi africani a guardare con rinnovato interesse al settore agroalimentare vi sono poi nuovi fattori sociali collegati allo sviluppo africano. Con la crescita economica continua e sostenuta che si registra da almeno un decennio, l’Africa sta vedendo crescere la sua popolazione oggi oltre il miliardo, destinato a toccare i due miliardi entro il 2050. Parallelamente sta crescendo la cosiddetta classe media africana, sempre più costituita da persone inurbate che, grazie alle migliori condizioni economiche, cercano anche di migliorare la loro dieta.
La Banca mondiale, in un recente rapporto intitolato Coltivando l’Africa, sbloccare il potenziale dell’agribusiness, ha dato un valore al futuro del settore agricolo africano: 1 trilione di dollari entro il 2030, ovvero un giro d’affari di 1.000 miliardi di dollari per la sola Africa subsahariana. Il mercato alimentare urbano in Africa è, secondo gli esperti, destinato a quadruplicarsi nell’arco dei prossimi anni fino a superare, entro il 2030, un giro d’affari di 400 miliardi di dollari.
Una spinta che costringe a grandi investimenti nell’agribusiness, nella lavorazione, nella logistica, nell’infrastruttura di mercato e nelle reti di distribuzione. Gli esperti non hanno dubbi: la crescente classe media africana sta cercando varietà e qualità nella sua dieta e i settori di maggior crescita sono riso, cereali, avicoltura, oli vegetali, caseario, e orticoltura.
Nella maggior parte dei paesi africani l’agricoltura e l’agribusiness hanno finora perso la gara della competitività. Negli ultimi decenni la quota che l’Africa detiene nelle esportazioni agricole mondiali è diminuita e il continente continua ad essere la zona del pianeta con la resa agricola più bassa. Dati che sono frutto dello scarso uso nel mondo agricolo africano di metodi e attrezzature moderne: dalle sementi, ai fertilizzanti, dai macchinari ai sistemi irrigui. Uno scenario che può essere ribaltato con buone politiche, investimenti pubblici e privati e partnership tra aziende e governi.
Il Continente nero rappresenta un terzo dei paesi presenti e sbarca a Milano con un carico destinato a nutrire l’intero pianeta.