L’Arabia Saudita vuole riprendere la centralità regionale che ha perso, sia nei confronti degli Emirati Arabi che del Qatar, il maggiore finanziatore di Hamas, gruppo finanziato anche dall’Iran. Un duro colpo per il governo di Benjamin Netanyahu, fautore degli Accordi di Abramo
Sta diventando sempre più Riad il centro nevralgico e diplomatico della stabilizzazione in Medioriente. Dopo le aperture saudite a Iran e Siria, nei giorni scorsi Mohammed Bin Salman (MBS), il principe ereditario saudita ma di fatto il reggente dello stato arabo, ha incontrato il Presidente dell’autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) a Riad. Ma nello stato arabo, sono presenti anche i vertici di Hamas, il gruppo ritenuto terroristico da diversi governi al mondo e che governa Gaza, il quale da anni non ha rapporti sia con i sauditi che con Ramallah.
Mahmoud Abbas e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, hanno discusso, si legge in note diplomatiche, degli ultimi sviluppi nei Territori palestinesi, delle relazioni bilaterali, dei piani di diversificazione economica dell’Arabia Saudita e del conflitto con Israele. Mentre i due erano all’incontro, sia sui media che sui social media arabi sono stati pubblicati video che mostrano la leadership di Hamas mentre compie un pellegrinaggio alla Mecca. Non è chiaro se, come successo per Abu Mazen, MBS incontrerà anche i vertici di Hamas, con cui i rapporti da anni non sono idilliaci.
L’ultima visita in Arabia Saudita di un leader di Hamas è stata nel 2015. Nell’agosto 2021, un tribunale saudita ha condannato 69 cittadini palestinesi e giordani al carcere per accuse di legami con il gruppo che governa Gaza. Questi poi sono stati liberati negli ultimi mesi, a cominciare dal leader di Hamas nel regno saudita Mohammad al-Khudary. Lo scorso settembre, il leader di Hamas, Ismail Haniyeh ha affermato che il suo movimento stava cercando di ricucire le relazioni con l’Arabia Saudita, ma che terze parti indefinite stavano cercando di impedire che ciò accadesse. Haniyeh ha aggiunto che Hamas ha lavorato per ripristinare i legami con l’Arabia Saudita e la Giordania dopo che il gruppo ha ristabilito i rapporti diplomatici con il governo siriano.
Hamas, con i suoi stretti rapporti con l’Iran e i suoi legami con la Fratellanza Musulmana, ha avuto scarsi rapporti con l’Arabia Saudita negli ultimi dieci anni. Tuttavia, un recente riavvicinamento tra Arabia Saudita e Iran, e uno sforzo generale di Riad per ricucire i legami con i suoi rivali regionali, ha aperto la porta a un nuovo capitolo con Hamas.
La notizia della visita di Abu Mazen ma, soprattutto, l’eventuale incontro e ripresa dei rapporti con Hamas, gruppo foraggiato da Teheran, rappresentano certamente un duro colpo per il governo di Benjamin Netanyahu. Quest’ultimo, fautore degli accordi di Abramo del 2020, con i quali ha stretto rapporti con Emirati Arabi e Bahrein nell’area, ha sempre puntato sull’allargamento delle relazioni ad altri paesi arabi. L’Arabia Saudita, convitato di pietra in questi consessi, è il vero oggetto del desiderio di Netanyahu e sembrava che le cose andassero verso questa strada, con una fitta rete di relazioni sottobanco, apertura di spazi aerei e paventato inizio di un collegamento areo tra Israele e l’Arabia in occasione del pellegrinaggio rituale o del mese di Ramadan. Cosa che, invece, è stata messa in stand by.
L’apertura di Riad nei confronti di Teheran prima e di Damasco poi, nemici giurati di Israele, ha raffreddato le cose. Un incontro con Hamas renderebbe tutto ancora più difficile. Dopotutto Riad intende riprendere la centralità nell’area, che ha perso nei confronti sia di Emirati, dal punto di vista dello sviluppo e dell’economia, sia dal Qatar. Proprio contro questi mise in atto un boicottaggio durato anni. Doha da sempre ha rapporti con Teheran, anche perché condividono il giacimento di gas più grande al mondo. E Doha è anche il maggior finanziatore di Gaza, dove sostiene settimanalmente le famiglie dell’enclave strette nella morsa di Israele, Egitto e della stessa Autorità nazionale Palestinese. Nella capitale qatariota, inoltre, c’è una vera e propria ambasciata di Hamas dove trovano rifugio i suoi leader.
Netanyahu, dal canto suo, continua ad ostentare sicurezza. Lo ha fatto poche ore fa in una intervista alla americana CNBC, nella quale ha affermato che le preoccupazioni saudite sul terrorismo avrebbero superato le remore per la linea dura del suo governo sui palestinesi, il ripristino dei legami dell’Arabia Saudita con l’Iran ha “molto poco” a che fare con Israele e riguarda principalmente l’allentamento delle tensioni nelle regioni, in particolare nello Yemen.
Nell’intervista il premier ribalta totalmente la questione, spiegando che quelle mosse di riavvicinamento di Riad con Teheran e Damasco, hanno lo scopo di inviare loro un messaggio in vista di un possibile accordo di pace con Israele. “Forse per dire loro che dovranno prepararsi, forse per provare a dire loro di smettere di fare il tipo di terrore che fomentano”, ha detto. Netanyahu ha ribadito la sua convinzione che la pace con l’Arabia Saudita porrebbe fine al più ampio conflitto arabo-israeliano, anche se ha ammesso che non risolverebbe immediatamente il conflitto con i palestinesi. Il Premier israeliano ha affermato inoltre che Riyadh fosse ben consapevole dei vantaggi della collaborazione con Israele. “Abbiamo fatto molto bene da soli, ma possiamo fare molto meglio insieme”, ha dichiarato. E sulla mediazione cinese, il premier ha glissato, dicendo che non ha mai ricevuto alcuna proposta formale da Pechino, che il dialogo con la Cina è sempre aperto, ma che si aspetta una maggiore presenza e peso americani nell’area.