
“Abbandonare un emisfero terrestre e la stagione che v’impera per essere catapultati, in meno di 30 ore di volo, in quello opposto, risulta fisicamente estenuante. Il volo da Francoforte a Buenos Aires, con scalo a Dallas, ricorda il destino ignobile dei poveri polli da batteria; incastrati tra un sedile e l’altro, pasturati regolarmente dagli zelanti assistenti di volo, obbligati all’aria condizionata puntata con precisione sul collo già dolente per le prolungate ore d’immobilismo.
Ieri era inverno, oggi la primavera australe sta già per finire. Buenos Aires c’accoglie tutta in ghingheri, invasa dai fiori lilla delle Jacarande, calda, luminosa, spaziosissima. Per i primi due giorni io, comunque, non la noto, non riesco ad afferrarla. Sono troppo stordita dal sonno intermittente a cui il Jet Lag mi condanna, seguo a stento le conversazioni, non ho il minimo senso dell’orientamento, mi addormento ad un concerto di tango. La vedo veramente, la prima volta, a poche ore dalla partenza per il sud.
Come una mosca ubriaca sbatto contro la vetrata dell’ultimo piano di un palazzo del centro, e lei è li sotto, avvolta da una luce lattea, abbacinante. I suoi edifici mi fanno pensare a enormi pezzi di ghiaccio che scioglieranno al sole appena arriverà estate. “