Più che un libro di viaggio, “Mare Corto” è un libro di viaggi, racconta l’autore Matteo Tacconi, che ha percorso con il fotografo Ignacio Maria Coccia oltre seimila chilometri raccogliendo storie e memorie dell’Adriatico, teatro e testimone dei grandi mutamenti del nostro tempo
“L’Adriatico è da sempre il nostro mare. È il mare dove andavamo in vacanza da bambini, e quello dove d’estate facciamo il bagno. È il mare che cade tra il nostro Paese e i Balcani, terra verso cui nutriamo una forte passione e che frequentemente abbiamo raccontato…”
Scrivere un libro su un elemento naturale non è una cosa semplice, se poi si tratta di un mare su cui si affacciano sei Paesi e in cui si mescolano diverse tradizioni, culture e religioni, l’impresa sembra ancor più ardua.
“Mare Corto – Coste, isole, persone. Un reportage adriatico” (Capponi editore, pp. 144) è un libro che, attraverso i testi di Matteo Tacconi e le foto di Ignacio Maria Coccia, guida il lettore verso quei toponimi marittimi più o meno conosciuti del Mare Adriatico, che insieme divide e unisce l’Italia e i Paesi balcanici. Più che un libro di viaggio è un libro di viaggi – oltre seimila chilometri sulle coste dell’Adriatico – che i due autori hanno percorso in lungo e in largo nell’arco di due anni, raccogliendo storie e memorie.
L’Adriatico è un mare corto, che collega Ancona e Zara, ma è anche un mare lungo, che va da Trieste a Leuca e da Fiume a Valona, e ci mostra come le differenze non siano solo sull’asse est-ovest ma anche da nord a sud, tanto nei Balcani quanto in Italia. Allo stesso tempo, però, è un mare dove tutt’oggi è possibile osservare le tracce lasciate dalla mescolanza di queste due sponde. Ne sono un esempio gli edifici veneziani sulla costa della Dalmazia e del Montenegro, un tempo parte della Serenissima, così come le antiche comunità albanesi e croate in Molise, Puglia ed Abruzzo, che qui trovarono riparo dagli ottomani quando occuparono la penisola balcanica.
L’Adriatico è un mare che spazia dalla cultura mitteleuropea a quella mediterranea e su cui convivono molteplici diversità ma anche un unico sentire comune, romantico ma non retorico.
L’idea generale degli autori è quella di portare il lettore alla riscoperta del Mare Adriatico attraverso gli elementi che ne caratterizzano tanto il paesaggio – come le coste, le isole e i fari – quanto lo sviluppo umano, ovvero la pesca, le saline e i porti. Quello di Tacconi e Coccia non è quindi un viaggio lineare on the road che segue i percorsi delle mappe geografiche, ma piuttosto uno zigzagare da una sponda all’altra, tra passato e presente.
Nel libro ricorrono infatti espressioni trasversali come “mare di una volta” (che dà il nome a un intero capitolo), con cui l’autore trasmette il “senso di pace e un soffio di nostalgia. Situazioni senza tempo, immagini che sembrano di ieri ma sono dell’oggi” e che si rivivono sulla costa occidentale così come su quella orientale.
«Il libro non si concentra molto sui singoli luoghi e il testo è per lo più cerebrale, perché l’obiettivo è quello di trasmettere un’idea di Adriatico, di come questo sia vissuto e condiviso dai suoi popoli», afferma l’autore Matteo Tacconi. I suoi testi sono impreziositi dagli scatti del fotografo italo-spagnolo Ignacio Maria Coccia, che danno al libro un senso di complementarietà oltre che originalità.
Nel complesso, il libro si pone un obiettivo specifico: analizzare l’evoluzione temporale attraverso la descrizione di un luogo. Il Mare Adriatico si presenta quindi come un custode di quelle tradizioni antiche che ancora resistono, come la produzione di remi e forcole alla veneziana, o il metodo di pesca dei trabocchi in Abruzzo e Molise. Ma è soprattutto un testimone dei grandi mutamenti del nostro tempo, in particolare del Novecento. Se nel resto d’Europa sono per lo più le due guerre mondiali ad aver lasciato tracce del proprio passaggio, l’Adriatico custodisce ricordi anche della Guerra Fredda, quando divenne un muro d’acqua che separò l’Italia occidentale dal socialismo jugoslavo e da quello più paranoico del regime albanese. E gli stessi albanesi nel 1991 videro nell’Adriatico un mare corto, duecento chilometri dopo i quali le coste pugliesi rappresentarono la libertà.
Il mare corto, d’altronde, non è che uno dei modi di interpretare l’Adriatico. Ne esistono molti altri, tanti quanti gli anelli che si creano quando in un mare piatto e oleoso cade un sasso.
@Gio_Fruscione



Più che un libro di viaggio, “Mare Corto” è un libro di viaggi, racconta l’autore Matteo Tacconi, che ha percorso con il fotografo Ignacio Maria Coccia oltre seimila chilometri raccogliendo storie e memorie dell’Adriatico, teatro e testimone dei grandi mutamenti del nostro tempo