L’imminente uscita di scena della Cancelliera tedesca non potrà che essere colmata da un asse italo-francese che gestisca la ripresa post Covid, l’assegnazione dei fondi dei Pnrr e ora anche gli effetti della crisi afghana
Nel ristorante stellato “Le Petit Nice”, giovedì sera a Marsiglia, Emmanuel Macron e Mario Draghi hanno siglato un patto di ferro che, salvo sorprese, dovrebbe durare per tutti i prossimi mesi. L’oramai imminente uscita di scena della Cancelliera tedesca Angela Merkel non potrà che essere colmata da un asse preferenziale tra Roma e Parigi che governi la difficile transizione necessaria a gestire la ripresa post Covid, l’assegnazione dei fondi dei Pnrr e ora anche gli effetti della crisi afghana per una temuta emergenza profughi e nuove relazioni della Ue con Nato e Stati Uniti. Tutto questo in attesa che il vagone di testa franco-tedesco riprenda a svolgere il suo ruolo tradizionale per l’integrazione europea. Per l’Italia, tuttavia, un’occasione da non perdere utile a rafforzare quella credibilità che a Bruxelles, nonostante la presenza di Draghi, resta sempre vacillante.
L’Italia quest’anno presiede il G20 mentre la Francia siede nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e dal gennaio prossimo avrà la presidenza di turno dell’Unione europea. Macron ha garantito a Draghi il suo sostegno a un G20 straordinario in videoconferenza da tenersi alla fine del mese o ai primi di ottobre subito dopo l’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Per il 7 settembre è prevista la telefonata tra Draghi e il Presidente cinese Xi Jinping che avrebbe già superato alcune perplessità iniziali a discutere di temi politici e strategici in un foro essenzialmente economico. Da parte sua Draghi ha assicurato a Macron il sostegno dell’Italia alla creazione di una “safe zone” all’aeroporto di Kabul come prevede il testo di una proposta presentata al Consiglio di sicurezza da Parigi e Londra.
“Bisogna approfittare di questo contesto tra Parigi e Roma – dice Sandro Gozi, già Ministro delle Politiche europee con Renzi o ora parlamentare europeo eletto nella lista Renew Europe e segretario del Partito democratico europeo – occorre suggellare questa intesa speciale attraverso il Trattato del Quirinale che può essere di grandissima utilità per i due Paesi e per la nostra influenza a livello europeo e internazionale”.
Secondo Gozi “è fondamentale che Italia e Francia lavorino mano nella mano, anche perché c’è una grandissima condivisione degli interessi e dei rischi. Di fronte alla crisi afghana e ai flussi migratori che verranno l’Europa ha una scelta: o li subiamo, andando in ordine sparso, come è accaduto negli anni passati; o li gestiamo, cominciando ad aiutare i Paesi più vicini all’Afghanistan che saranno quelli colpiti per primi, senza farsi bloccare dai veti di Ungheria, Polonia o altri. Francia e Italia devono spingere assolutamente perché l’Europa abbia una gestione efficace dei prossimi flussi”.
Un fronte comune tra Italia e Francia che avrà modo di dispiegare i suoi effetti anche per la conferenza sul futuro dell’Europa. Il nodo riproposto dalla crisi afghana ripropone la necessità di completare l’Unione politica e creare una vera Europa della sicurezza e della Difesa.
Mentre il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio in partenza dalla Slovenia per la missione in Uzbekistan, Tagikistan, Qatar e Pakistan afferma che l’obiettivo è quello di aiutare il popolo afghano e i Paesi confinanti per gestire in loco i flussi migratori, Lorenzo Guerini è stato ieri il Primo Ministro della Difesa straniero a essere ricevuto dal capo del Pentagono Lloyd Austin dopo il ritiro da Kabul. Nell’agenda dell’incontro la situazione in Afghanistan, ma anche lo scenario nel Mediterraneo con Libia e Sahel e il dossier Iraq.
Da Bruxelles il Presidente del Consiglio europeo Charles Michel si domanda: “Quale altro evento geopolitico oltre alla crisi afghana è necessario per portare l’Europa a rafforzare la sua autonomia decisionale e la sua capacità di azione?”. E il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, è dell’idea che la Nato “dovrebbe cercare di mantenete contatti con i Talebani, ma i nuovi governatori dell’Afghanistan dovranno dimostrarsi degni degli aiuti e del riconoscimento impegnandosi a evacuare il maggior numero possibile di persone vulnerabili”. In altre parole, “Il riconoscimento del governo dei Talebani verrà discusso dagli alleati della Nato, ma dipenderà dalle azioni del nuovo Governo”.
Paolo Gentiloni, commissario Ue agli Affari economici giudica la crisi afghana uno spartiacque anche per l’Europa. “Non voglio – dice Gentiloni a Cernobbio – che la critica feroce all’epilogo disastroso di questa vicenda diventi una abiura delle ragioni iniziali che ci hanno portato a sostenere l’operazione; io non mi vergogno di avere sostenuto l’idea di una missione internazionale contro il terrorismo dopo l’11 settembre ma il modo in cui si è conclusa interroga anche gli altri Paesi e l’Unione europea”. E aggiunge: “Noi non siamo andati lì per portare la democrazia, ma per sconfiggere al-Qaeda e il terrorismo. La speranza di portare i diritti delle donne e altri però era una motivazione forte per restare. Io non amo usare troppo il senno di poi. Forse la missione l’abbiamo sostenuta troppo a lungo, è facile dirlo adesso. Ma non doveva finire nel modo in cui è finita, è stato un disastro e il disastro si doveva evitare. Sarà uno spartiacque”.
Ma occorre pensare anche al futuro. Alle nuove crisi possibili e a un ruolo più autonomo che l’Europa dovrà avere. “Un ruolo – spiega il generale Claudio Graziano, presidente del comitato militare dell’Unione europea – che non può e non deve essere in contrapposizione agli Stati Uniti e alla Nato. Ma occorre anche un’Europa più assertiva perché dopo la Siria, la Libia e il Libano non possiamo permetterci di rimanere inermi di fronte a un nuovo Afghanistan in Sahel”.
L’imminente uscita di scena della Cancelliera tedesca non potrà che essere colmata da un asse italo-francese che gestisca la ripresa post Covid, l’assegnazione dei fondi dei Pnrr e ora anche gli effetti della crisi afghana