Nel solo mese di dicembre Kabul è stata colpita da tre attentati devastanti. È il culmine di un’offensiva avviata dopo che gli Usa hanno sganciato “la madre di tutte le bombe”. Lo Stato islamico s’insinua nella frattura tra pashtun e hazara. E conquista anche la classe media
A cavallo del nuovo anno l’Afghanistan continua a non conoscere né pace né un barlume di stabilità all’orizzonte, dilaniato da un conflitto che da 16 anni impone nell’area una presenza militare statunitense ininterrotta. Nonostante si tratti a tutti gli effetti della campagna militare più lunga nella storia degli Stati Uniti, Washington non solo non è ancora riuscita a sventare definitivamente la minaccia terrorista talebana e qaedista ma si trova ora di fronte a un’avanzata preoccupante delle milizie affiliate all’Isis, che solo recentemente si sono aggiunte al panorama dell’estremismo islamico locale.
Presenti in Afghanistan dal 2014, seppur ancora lontano dai principali centri abitati afghani, i miliziani affiliati al Califfato riuniti nel gruppo Islamic-State Khorasan Province (Is-K, dal nome del dominio storico che comprendeva parti degli attuali Afghanistan, Turkmenistan, Uzbekistan e Iran) si sono progressivamente diffusi nel Paese fino a inserire la capitale Kabul nel mirino di attentati terroristici sempre più frequenti. Dall’estate del 2016 a oggi nella sola Kabul si sono registrati oltre 20 attentati rivendicati credibilmente da Isis: sequenza segnata da un’evidente impennata proprio all’indomani del 13 aprile 2017, quando l’amministrazione Trump decise di sganciare sull’Afghanistan orientale la “mother of all bombs”, una bomba da 11 tonnellate che, secondo gli Usa, avrebbe dovuto estirpare sul nascere la crescita di Isis nel paese.
Le cose, evidentemente, non sono andate secondo i piani di Washington.
Nel solo mese di dicembre Is-K ha colpito la capitale afghana ben tre volte, tra commando che assaltano un centro di addestramento – 18 dicembre, due feriti -, un autobomba esplosa nei pressi del compound dei servizi segreti afghani – 25 dicembre, sei morti – e una serie di esplosione suicide in un centro culturale sciita dove era in corso un evento per ragazzi per il 38esimo anniversario dell’invasione russa in Afghanistan – 28 dicembre, 41 morti -.
Un’escalation di violenza che, secondo gli analisti, segna un definitivo cambio di passo delle attività di Isis in Afghanistan, come spiegato ad Agence France Presse da una serie di analisti internazionali. Michael Kugelman del Wilson Centre di Washington, ad esempio, spiega: «Non si tratta [più] di un gruppo presente solo nell’Afghanistan orientale, ora portano a termine attacchi altamente visibili e mortali nella capitale del Paese e credo ci sia di che preoccuparsi».
Gli fa eco Borhan Osman, analista dell’International Crisis Group, evidenziando come il reclutamento di Is-K vada ben oltre i segmenti indigenti dell’Afghanistan rurale, sfondando con successo nel blocco della cosiddetta classe media cittadina. «Non possiamo dire che siano tutti poveri, molti di loro provengono da famiglie della classe media di Kabul. Alcuni sono universitari, altri hanno un diploma di scuola superiore» spiega Osman dando credito al successo del reclutamento via social network, condotto parallelamente ad attività analoghe nelle scuole, nelle università e nelle moschee.
Secondo un editoriale pubblicato dal Guardian all’indomani dell’attacco del 28 dicembre, Is-K si starebbe inserendo con successo nelle fratture che dividono da secoli la maggioranza pashtun, sunnita, dalla minoranza hazara, sciita, sovrapponendo al revivalismo sunnita la componente del nazionalismo pashtun. “Il distaccamento di Isis in Afghanistan, come in Iraq, sembra giocare sulla paura che gli sciiti possano risollevarsi e minacciare le gerarchie tradizionali. Il primo attacco del gruppo nella capitale, e il più sanguinoso, si registrò lo scorso anno durante una manifestazione della comunità hazara che chiedeva di reindirizzare attraverso il loro territorio la trasmissione della corrente elettrica. Nel mese di novembre Isis ha decapitato diversi hazara, compresa una bambina di nove anni, causando il panico nella comunità” si legge nell’editoriale, precisando che “Isis ha giustificato la propria brutalità sostenendo di combattere i progetti di espansionismo iraniano nell’area, una paura riaccesa in seguito al reclutamento di sciiti da parte di Tehran per combattere Isis in Siria”.
Il tutto senza dimenticare che, secondo un rapporto stilato dallo Special Inspector General for Afghanistan Reconstruction nel mese di ottobre, si stima che il 43% dei distretti afghani sia o conteso o sotto il controllo diretto dei talebani afghani.
Un quadro disperante nel quale le recenti sfuriate di Trump contro il doppiogiochismo, pur comprovato, dell’alleato pachistano, in aggiunta alla schizofrenica gestione dei rapporti con l’Iran, rischia di esacerbare ulteriormente il conflitto nell’area e rimandare le speranze di pace e stabilità a un futuro incerto e, al momento, imperscrutabile.
@majunteo
Nel solo mese di dicembre Kabul è stata colpita da tre attentati devastanti. È il culmine di un’offensiva avviata dopo che gli Usa hanno sganciato “la madre di tutte le bombe”. Lo Stato islamico s’insinua nella frattura tra pashtun e hazara. E conquista anche la classe media