Anche se il padre del sionismo, Theodor Herzl, tracciava un parallelo tra la condizione dei neri e quella degli ebrei, l’ex presidente maliano Amadou Toumani Touré sosteneva che c’è un palestinese in ogni africano. Ma aggiungeva una postilla: “L’uomo africano è pragmatico. Alla Palestina va il sostegno popolare. Però gli affari si fanno con Israele”.

E il business, anche oggi, non cede di fronte alle ragioni di principio, né arretra davanti ad un dato inequivocabile: nella mappa dei Paesi che hanno riconosciuto lo Stato palestinese il continente nero, accanto all’Asia, vanta un primato indiscusso.
Proprio ieri il Parlamento francese ha votato una mozione in cui chiede al governo di riconoscere la Palestina. Il voto dell’assemblea nazionale di Parigi è solo l’ultima di una serie di mosse diplomatiche occidentali – Gran Bretagna, Spagna e Svezia, per fare alcuni nomi – che sottolineano l’isolamento diplomatico del premier israeliano Benjamin Netanyahu (peraltro costretto ad elezioni anticipate per puntellare un esecutivo traballante).
Il riconoscimento di uno Stato, o di un governo, è un atto unilaterale, dal significato politico. In questo senso l’Africa, sin dal 1988, anno in cui venne proclamata la Palestina, non ha mai avuto dubbi su quali parti prendere: la stragrande maggioranza dei Paesi del continente riconobbe immediatamente lo Stato palestinese. Swaziland, Malawi e Sudafrica attesero un decennio. Gli ultimi arrivati furono la Costa d’Avorio, nel 2008, e il Lesotho, nel 2011.
Attualmente solo due Paesi fanno eccezione, il Camerun e l’Eritrea. Nel primo caso, questa scelta è la conseguenza di forti legami, soprattutto militari, con Israele (per fare un esempio, la guardia presidenziale di Paul Biya, il capo di Stato più longevo del pianeta, al potere da 32 anni, opera dietro la supervisione del colonnello MeirMeyoukhas, un ufficiale del Mossad in pensione). Anche l’Eritrea, dal canto suo, sin dall’indipendenza, ottenuta nel 1993, è un grande alleato di Gerusalemme, che ha bisogno di una testa di ponte in una zona strategica, di fronte allo Yemen e vicino al Golfo di Aden (come simbolo di amicizia, il presidente eritreo Isaias Afeweki fu accolto in Israele per cure mediche).
Il sostegno africano alla causa palestinese non è sempre stato solidissimo. Anzi, negli anni Sessanta, su impulso del ministro degli Esteri Golda Meir, lo Stato ebraico condusse un’efficace offensiva diplomatica nel continente. Per l’Africa decolonizzata la questione mediorientale non era poi così interessante. Poi, a cavallo tra i Settanta e gli Ottanta, si formò un movimento ostile ad Israele, che portò alla rottura delle relazioni, per ragioni di solidarietà intra-islamica. “Sono membro dell’Organizzazione della Conferenza Islamica, non posso al tempo stesso essere musulmano e riconoscere Israele”, disse il presidente del Gabon, Omar Bongo. Solo alcuni Paesi mantennero legami con Gerusalemme, in ambito accademico ed agricolo: lo Zaire di Mobutu, il Malawi, il Lesotho, lo Swaziland e soprattutto l’unico, vero, alleato dello Stato ebraico, il Sudafrica dell’apartheid.
Tra gli anni Ottanta e Novanta, poi, un nuovo cambiamento di prospettiva: sì allo Stato palestinese, ma ripresa dei rapporti, soprattutto commerciali, con Israele. Oggi Netanyahu dispone di un paio di assi nella manica rispetto ad Abu Mazen. Può investire grandi cifre e può fornire all’Africa quella sicurezza di cui ha bisogno (secondo il rapporto del Stockholm International PeaceResearchInstitute (SIPRI),uno dei principali think tank in materia, le spese militari in Africa nel 2013 sono cresciute dell’8,3 per cento, più che in qualsiasi altra parte del pianeta). L’anno scorso Gerusalemme ha venduto armi al continente per 223 milioni di dollari, rispetto ai 107 del 2012. E poi c’è il cöté degli investimenti, concentrati soprattutto in quattro Paesi: Repubblica Democratica del Congo, Camerun, Costa d’Avorio e Togo.
Così, anche se, con grande rammarico dello Stato ebraico, l’Africa ha votato in maniera quasi compatta l’ammissione della Palestina all’Unesco – solo otto astensioni – l’appalto da 500 milioni di euro per la centrale termica di Songon-Dagbé, nella banlieue dell’ex capitale ivoriana, Abidjan, è stato vinto dal gruppo israeliano Telemenia.
@vannuccidavide
Anche se il padre del sionismo, Theodor Herzl, tracciava un parallelo tra la condizione dei neri e quella degli ebrei, l’ex presidente maliano Amadou Toumani Touré sosteneva che c’è un palestinese in ogni africano. Ma aggiungeva una postilla: “L’uomo africano è pragmatico. Alla Palestina va il sostegno popolare. Però gli affari si fanno con Israele”.