“Le prospettive di crescita economica dell’Africa dipendono in gran parte dal suo livello di apertura e di integrazione con il resto del mondo attraverso il commercio e gli investimenti”.
Questo uno dei passaggi chiave dell’ultimo studio condotto da Visa sub-Saharan (Pty) Ltd e pubblicato la scorsa settimana per monitorare l’indice di integrazione economica globale della macroregione a sud del Sahara.
Il report rileva fin dalle prime righe che i bassi livelli di integrazione hanno avuto in negativo un impatto rilevante sul progresso economico dell’Africa. Un limite che, secondo gli analisti che hanno realizzato il rapporto, deve essere superato per consentire alla regione di raggiungere e mantenere il suo elevato potenziale economico.
Nello specifico, il Pil nella regione aveva registrato un incremento medio del 4,6% nel 2014, rispetto al 4,2% nel 2013, ma più debole rispetto alla media del 6,4% raggiunta nel periodo tra il 2002 e il 2008.
I dati elaborati nella relazione indicano che l’anno scorso l’economia sub-sahariana ha registrato un tasso di crescita del 3,3%, il più basso dallo scoppio della crisi finanziaria globale.
Una performance negativa dovuta al calo dei prezzi delle materie prime e alla diminuzione degli investimenti innescata dal rallentamento economico in Cina e dall’instabilità politica in alcuni Paesi dell’area.
Undici Paesi sotto esame
Il rapporto intitolato Connecting Africa: Visa Integration Index è stato realizzato sotto la supervisione di Adrian Saville, professore esterno di Economia presso il Gordon Institute of Business Science (GIBS) dell’Università di Pretoria, che ha utilizzato quattro parametri chiave per misurare l’integrazione economica: il flusso di beni e servizi, l’integrazione finanziaria e la circolazione dei capitali, il flusso di informazioni e la circolazione delle persone.
Nella ricerca sono stati presi in esame undici Paesi: Kenya, Ruanda, Uganda, Tanzania, Sudafrica, Angola, Mozambico, Zimbabwe, Zambia, Nigeria e Ghana, considerati i più rappresentativi dei rispettivi blocchi regionali, con un Pil pari a più di tre quarti della produzione totale della regione e una popolazione complessiva di 504 milioni di persone, equivalente al 55% della popolazione sub-sahariana.
Il più alto punteggio di integrazione economica globale è stato raggiunto dal Sudafrica con 80,6, mentre il Kenya si è classificato secondo con un punteggio di 57,2 e terza l’Uganda con 46,6.
In generale, la quota di commercio globale dell’Africa è aumentata dal 2,3% del 2003 al 3,3% nel 2015. Ciononostante, il continente ha la percentuale più bassa di commercio internazionale di merci, rispetto al 36,8% dell’Europa, al 32% dell’Asia al 3,8% dell’America latina. E sono ancora bassi anche i flussi di capitali internazionali, in una regione che attrae meno del 5% degli investimenti esteri diretti globali.
Secondo il rapporto, l’Africa è significativamente penalizzata in termini di sostegno finanziario convenzionale, forniture di capitali e coperture assicurative: una serie di elementi che pone enormi vincoli sulle transazioni ordinarie.
La relazione sostiene che lo scarso rendimento commerciale dell’Africa è maggiormente imputabile alla carente semplificazione amministrativa, piuttosto che alla politica e alla mancanza di un accesso preferenziale ai mercati chiave.
L’integrazione economica locale ancora frammentata
Premesso che il potenziale delle economie africane dipende in modo cruciale dall’integrazione con l’economia mondiale, lo studio ricorda che i maggiori benefici derivano dall’integrazione economica locale.
Un’integrazione che rimane ancora in gran parte frammentata a causa degli elevati costi del commercio intra-africano stimati come i più elevati di tutte le regioni in via di sviluppo, con una media del 50% superiore a quella dell’Asia orientale.
Per esempio, mentre occorrono quaranta giorni per spostare un container da Shanghai a Mombasa per un costo totale di 600 dollari, per spostare lo stesso contenitore da Mombasa a Bujumbura, sono necessari sempre quaranta giorni e le spese di trasporto regionale incidono per 800 dollari.
L’insieme di questi fattori determina che i Paesi africani trovino più costoso commerciare tra loro che con il resto del mondo. Di conseguenza, il commercio intra-regionale in Africa nel 2014 è stato pari al 16,2% del totale a fronte di quello in Asia, America Latina ed Europa, che nello stesso periodo ha rappresentato rispettivamente oltre il 50%, 20% e 70%.
La relazione individua le altre criticità nel commercio intra-africano nei scarsi livelli di diversificazione del prodotto, nella grave carenza di infrastrutture, nell’insufficienza di flussi di capitale, nei piccoli mercati con basso potere d’acquisto, nonché nei quadri giuridici e normativi contrastanti e in una lunga serie di inefficienze burocratiche.
La ricerca conclude che l’Africa è ancora indietro rispetto ad altre regioni e una migliore integrazione commerciale a livello sia locale che globale avrà un impatto notevolmente positivo sulla crescita economica e sullo sviluppo.
“Le prospettive di crescita economica dell’Africa dipendono in gran parte dal suo livello di apertura e di integrazione con il resto del mondo attraverso il commercio e gli investimenti”.
Questo uno dei passaggi chiave dell’ultimo studio condotto da Visa sub-Saharan (Pty) Ltd e pubblicato la scorsa settimana per monitorare l’indice di integrazione economica globale della macroregione a sud del Sahara.