Partner cruciale per il successo del G5 Sahel, Algeri volta le spalle alle richieste di Parigi. Perché non gradisce l’interferenza francese. E preferisce la via politica a quella militare. Ma favorisce così l’ascesa dello storico rivale Marocco
Parigi – Da sempre considerata un pilastro nella gestione securitaria della regione saheliana, in questi ultimi mesi l’Algeria sta mostrando un atteggiamento indifferente nei confronti del G5 Sahel, l’iniziativa militare volta a combattere la minaccia terroristica in Africa occidentale attraverso la cooperazione tra Mali, Mauritania, Burkina Faso, Ciad e Niger. Mentre il presidente Macron moltiplica gli sforzi per raccogliere i fondi necessari per lanciare l’operazione, Algeri resta in disparte, evitando qualsiasi implicazione diretta nell’iniziativa.
Eppure, Macron ha cercato a più riprese di convincere il suo partner magrebino ad entrare nell’iniziativa, consapevole del peso che una simile mossa avrebbe potuto avere sul piano economico e, soprattutto, logistico. L’Algeria ha una profonda conoscenza dei gruppi terroristici attivi nell’area e i suoi servizi segreti dispongono di canali preferenziali con alcune figure di spicco della nebulosa jihadista locale.
A inizio dicembre il presidente francese si è recato ad Algeri, dove ha incontrato il suo omologo, l’80enne Abdelaziz Bouteflika, e il capo di Stato Maggiore dell’esercito, Ahmed Gaid Salah. Secondo alcune indiscrezioni diffuse dall’agenzia araba Erem News, gli interlocutori algerini avrebbero rifiutato la proposta di Macron, spiegando che la Costituzione vieta “all’esercito operazioni militari all’esterno delle frontiere” nazionali.
L’Algeria non vede di buon occhio l’impegno di Parigi nella regione sahelo-sahariana. Al di là dei vecchi rancori risalenti al periodo coloniale, l’insofferenza dello Stato magrebino nei confronti della potenza europea proviene dai timori legati alle interferenze nella zona vicina alle sue frontiere.
Il vertice avvenuto e metà dicembre tra i capi di Stato africani al castello della Celle Saint-Cloud, vicino Parigi, ha sancito definitivamente la leadership francese nella gestione dell’iniziativa, affidando a Macron un ruolo da garante sulla scena internazionale. Nonostante abbia più volte smentito un interesse diretto evocando una funzione prettamente mediatrice, il capo dell’Eliseo è ormai diventato il portabandiera del G5 Sahel. L’atteggiamento, però, resta distaccato, con una linea centrata principalmente su un ruolo da interlocutore.
In quest’ottica, risulta particolarmente significativo l’intervento di giovedì davanti al Parlamento tunisino, dove il presidente ha apertamente criticato l’intervento in Libia del 2011. “L’Europa, gli Stati Uniti e altri hanno una responsabilità nell’attuale situazione” ha affermato Macron, sottolineando che la fine del colonnello Gheddafi non è stata accompagnata da un progetto di ricostruzione.
In realtà la Francia vuole passare il testimone dell’antiterrorismo alle forze locali, liberandosi da quel fardello dell’operazione Barkhane che ha raggiunto dei costi insostenibili per le casse della Difesa, che ogni anno sborsa 800 milioni di euro per mantenere i suoi militari sul posto. Ritirando progressivamente le sue truppe, la Francia manterrebbe un’influenza nella zona coordinando le forze locali con l’aiuto di altre potenze occidentali come l’Italia o la Germania.
In un simile contesto, la partecipazione al dispositivo militare è vista come un atto di sottomissione a Parigi e, per questo, inaccettabile. Algeri preferirebbe continuare sulla linea aperta nel marzo del 2013 dall’Unione Africana con il processo di Nouakchott, che prevede una maggiore cooperazione in termini di sicurezza e informazioni tra undici stati dell’Africa occidentale.
Ad aumentare le tensioni c’è poi la forte divergenza di vedute sul piano metodologico. Alle operazioni militari, l’Algeria ha sempre preferito la via politica e diplomatica, assumendo in diverse occasioni il ruolo di mediatore per risolvere le tensioni tra gli attori locali.
Emblematici gli accordi firmati nel maggio del 2015 tra il governo maliano e gli esponenti dei principali gruppi tuareg separatisti sotto l’egida di Algeri. Un gesto che all’epoca rafforzò l’immagine algerina, nonostante si sia concluso con un nulla di fatto visto che le trattative tra le parti sono attualmente a un punto morto. A questo si aggiunge la creazione del Comitato di Stato Maggiore operativo congiunto (Cemoc): un accordo firmato nel 2010 a Tamanrasset tra l’Algeria, Niger, Mali e Mauritania simile al G5 Sahel, che però non è mai entrato effettivamente in azione.
L’assenza dell’Algeria potrebbe avere delle pesanti ripercussioni sul G5 Sahel. La sua esperienza maturata nel corso degli anni nella lotta al terrorismo l’ha reso un elemento imprescindibile nello scacchiere della sicurezza regionale. A margine del vertice fra Unione Africana e Unione Europea tenutosi ad Abidjan lo scorso novembre, il premier Ahmed Ouyahia ha ricordato che negli ultimi «sette o otto anni l’Algeria ha speso più di 100 milioni di dollari in aiuti ai cinque paesi della sotto-regione del Sahel – Ciad Mali, Niger, Mauritania e Libia, ndr – per formare una decina di compagnie di forze speciali e per fornirgli enormi equipaggiamenti».
Il ritiro di Algeri porterebbe inoltre a una ridefinizione degli equilibri tra le forze dell’area saheliana occidentale, soprattutto nel quadro della storica rivalità con il Marocco. Contrariamente al suo vicino, Rabat ha dato pieno sostegno a Macron, promettendo una partecipazione nel pattugliamento delle frontiere e nella formazione delle truppe. Un gesto che ha provocato l’irritazione di Algeri, che vede il suo avversario magrebino continuare a guadagnare influenza. Recentemente il Marocco è rientrato nel Consiglio di Pace e Sicurezza dell’Unione africana sostituendo l’Algeria in uno dei due posti riservati ai paesi dell’Africa del nord. Uno schiaffo per il presidente Bouteflika, che rappresenta l’inizio di un nuovo corso nelle relazioni africane.
Il dialogo franco-algerino si trova attualmente bloccato in un’impasse che rischia di nuocere ai diversi attori in gioco. Paradossalmente, la prima a farne le spese potrebbe essere proprio Algeri, che sta pagando il prezzo di una serie di errori diplomatici che hanno intaccato la sua credibilità nella regione.
Intanto, Macron continua i suoi spostamenti in Africa per trovare nuovi aiuti per i G5 Sahel.
Dopo una visita di due giorni in Tunisia, venerdì il presidente francese si è recato in Senegal, alle cui frontiere si sono svolte recentemente le prime operazioni del G5 Sahel. Dakar ha già fatto sapere che fornirà il suo contributo al dispositivo militare, che con il passare del tempo sta acquisendo un sostegno sempre più ampio da parte dei partner internazionali.
@DaniloCeccarell
Partner cruciale per il successo del G5 Sahel, Algeri volta le spalle alle richieste di Parigi. Perché non gradisce l’interferenza francese. E preferisce la via politica a quella militare. Ma favorisce così l’ascesa dello storico rivale Marocco