C’è un terreno emotivo e un altro molto più pragmatico sul quale sembrano muoversi da tempo le relazioni tra Serbia e Turchia.

Del primo, quello più antico e scivoloso, se ne è avuta una testimonianza nel corso dell’ultima settimana, in seguito all’uccisione, a Istanbul, di un 25enne tifoso di basket della Stella Rossa Belgrado. L’episodio, avvenuto alla vigilia della gara di Eurolega contro il Galatasaray, ha dato il via al consueto susseguirsi di proteste di piazza, ritorsioni diplomatiche e comunicati minacciosi delle cancellerie. In migliaia hanno manifestato a Belgrado chiedendo “vendetta” per la morte del ragazzo, mentre la presidente del parlamento serbo Maja Goykovic ha annullato la prevista visita in Turchia del 2 dicembre. Il primo ministro serbo Alksandar Vucic si è scagliato pubblicamente contro quello che è stato definito “mostruoso omicidio”, chiedendo che gli autori venissero “trovati, arrestati e puniti nella maniera più severa”.
Da subito, come dichiarato dai rappresentati diplomatici serbi in Turchia, è stato chiaro che solo un’indagine rapida avrebbe potuto chiudere sul nascere la crisi e garantire una normalizzazione dei rapporti tra i due paesi. E l’inchiesta portata avanti dalle autorità turche ha risposto alle attese: pochi giorni dopo l’omicidio del giovane serbo la polizia di Istanbul ha arrestato sei sospetti, tra i quali (annuncio di venerdì) è stato poi individuato il presunto killer.
Troppa, evidentemente, era la fretta di tornare a ragionare sull’altro terreno, quello pragmatico, il solo che realmente interessa a entrambe le parti. È qui, e in particolare nel campo della cooperazione economica, che negli ultimi cinque anni Serbia e Turchia hanno fatto decisivi passi avanti.
Se infatti l’ingresso da protagonista di Ankara nei Balcani risale già agli anni novanta, quando la Turchia approfittò dell’eredità religiosa e culturale risalente all’epoca ottomana per mettere radici nell’ex Yugoslavia, i rapporti diretti con la Serbia sono decisamente più recenti. Lo spartiacque è il 2009, e il cambio di rotta è repentino. Solo l’anno prima la Turchia era stato uno dei primi paesi a riconoscere l’indipendenza del Kosovo, facendo infuriare Belgrado, che aveva protestato ritirando il proprio ambasciatore ad Ankara. Nel 2009, a ottobre, avviene la svolta, con la storica visita del presidente turco Abdullah Gul a Belgrado, che rompe un gelo diplomatico che durava da 23 anni. Dello stesso anno è la sottoscrizione dell’accordo di libero scambio, entrato in vigore il primo settembre del 2010, che ha eliminato le barriere per il commercio tra i due paesi, oltre a regolare numerose materie che vanno dalle misure sanitarie ai regolamenti sulla proprietà intellettuale.
Proprio l’incremento del volume degli scambi, cresciuto subito e in maniera sensibile, può dare un’idea dell’integrazione in atto tra le due parti. Secondo i dati riportati dal governo turco, alla fine del 2012, a poco più di due anni dall’implementazione dell’accordo, le esportazioni della Serbia in Turchia avevano raggiunto i 165 milioni di euro, mentre il flusso inverso era quantificabile in 306 milioni di euro (incremento di oltre il 40 per cento rispetto al 2009). Nel complesso il volume di scambi bilaterali aveva superato i 470 milioni di euro, su un volume complessivo di commercio estero che superava di poco i 23 miliardi.
Germania, Italia e Russia restano tuttora i principali partner di Belgrado fuori dalla regione, costituendo assieme circa il 30 per cento delle importazioni e delle esportazioni serbe. Ma la nuova relazione privilegiata tra Serbia e Turchia è evidente se vista in prospettiva. Considerando che il volume di scambi bilaterali aveva raggiunto il suo picco nel 2008, con 383 milioni di euro, allora si vede come – nonostante la crisi globale – il volume sia aumentato in quattro anni di oltre il 20 per cento, facendo di quella tra Belgrado e Ankara una delle principali e più promettenti relazioni strategiche nell’ambito dei Balcani occidentali.
Nel frattempo, grazie alla favorevole imposta sulle imprese, una forza lavoro qualificata e il costo ridotto dell’energia, oltre che una a posizione strategica tra il sudest e l’Europa centrale, la Serbia, meglio di altri concorrenti nella regione, ha saputo attirare capitali dall’estero. Si calcola che l’ammontare di investimenti diretti stranieri dal 2000 a oggi abbia superato i 20 miliardi di euro. La Turchia in particolare ha investito in Serbia, in opere infrastrutturali. Il primo passo simbolico risale al 2009, con il coinvolgimento delle tre principali compagnie di ricostruzione turche (Kolin, Makwol e Juksel) nella realizzazione di un pezzo dell’autostrada da Belgrado a Bar, sull’Adriatico. Nel 2012 invece Ankara ha donato 10 milioni di euro per la ricostruzione e l’ampliamento dell’aeroporto di Kaljevo a scopi civili.
In questo processo di avvicinamento le interruzioni, anche brusche, non rappresentano una novità. Lo scorso ottobre una nuova frattura la aprì il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, che parlando a Prizren proclamò che “il Kosovo è Turchia, e la Turchia è Kosovo”. Quel rigurgito di orgoglio ottomano non fu apprezzato dalla parte serba, che non ha mai riconosciuto l’indipendenza kosovara. La protesta di Belgrado allora si risolse nella mancata partecipazione al vertice tripartito tra Turchia, Serbia e Bosnia convocato regolarmente dal 2010, e in un nuovo raffreddamento delle relazioni.
In realtà, e al di là degli estemporanei conflitti diplomatici, Serbia e Turchia hanno bisogno l’una dell’altra, specie per quanto riguarda la stabilizzazione in Bosnia Erzegovina e, più in generale nei Balcani. Del resto, come ha confermato una fonte diplomatica di Ankara al Sunday’s Zaman nel marzo scorso in un clima ancora avvelenato dalle parole pronunciate Erdoğan a Prizren, “la Turchia ritiene che il successo della propria politica nei Balcani è strettamente legata alle sue relazioni con la Serbia” ed “è impossibile portare avanti riforme politiche in Bosnia senza il coinvolgimento della Serbia”.
Solo pochi giorni fa, l’ambasciatore serbo a in Turchia, Danilo Vucetic, ha sottolineato come la normalizzazione delle relazioni tra i due Paesi fosse “sulla buona strada”. A testimoniarlo, è ancora una volta, il volume di scambio commerciale, parametro sicuramente più attendibile dei comunicati delle cancellerie: nella primavera scorsa il presidente serbo Tomislav Nikolic ha alzato l’asticella, fissando l’obiettivo a breve dello scambio bilaterale a oltre 1 miliardo di dollari, quasi il doppio di quello attuale.
L’uccisione del tifoso della Stella Rossa a Istanbul rappresenta l’ennesimo stop in un processo faticoso di avvicinamento. Ma c’è da scommettere che, in nome del pragmatismo che da qualche tempo guida Belgrado e Ankara, anche questo ultimo incidente sarà accantonato.
C’è un terreno emotivo e un altro molto più pragmatico sul quale sembrano muoversi da tempo le relazioni tra Serbia e Turchia.