Dall'America Centrale è partita una carovana di migranti honduregni in marcia verso gli Stati Uniti. La spinta decisiva i due violenti uragani dello scorso novembre
Dall’America Centrale è partita una carovana di migranti honduregni in marcia verso gli Stati Uniti. La spinta decisiva i due violenti uragani dello scorso novembre
Domenica 17 gennaio: Km 177 della ruta al Atlantico, sud est del Guatemala, villaggio di Vado Hondo, Chiquimula. Tra i settemila e i novemila honduregni in marcia verso gli Stati Uniti sono stati bloccati da un cordone di polizia, con gas lacrimogeni e bastonate. Con il nuovo anno, sono ripartite le carovane migranti che risalgono a piedi l’America Centrale, cercando una nuova vita negli Stati Uniti. Ma per arrivarci bisogna attraversare 2431 km, Guatemala, Messico, polizia, blocchi militari, pericoli della natura e dell’uomo. E col rischio di essere rimandati indietro, al punto di partenza, dove nessuno vuole tornare. Tornare in Honduras significa ricadere nei problemi endemici del Paese – miseria, violenza, corruzione – aggravatisi nell’ultimo anno.
In fuga dalla miseria e dalla violenza
La crisi Covid-19 ha peggiorato le condizioni già disastrate del Paese, dove un cittadino su due vive in povertà e uno su cinque in povertà estrema (con meno di $1.9 al giorno). La crisi politica risale ai tempi del ritorno alla democrazia, nel 1980, ma si è acuita negli ultimi dieci anni, a causa del malgoverno del Presidente Juan Orlando Hernández e del crescente potere delle bande (pandillas) che gestiscono il narcotraffico, controllano il territorio e terrorizzano la popolazione. L’Honduras ha uno dei tassi di morte violenta più alti al mondo; “non stiamo emigrando, stiamo scappando dalla violenza”, racconta al giornale guatemalteco Prensa LibreGeovanni Ramírez, che ha raccolto le testimonianze dei migranti nella carovana. Ramirez, honduregno trentaquatrenne, sta cercando di raggiungere gli Usa insieme a moglie e figlia, e spiega che se le cose andassero meglio nel suo Paese, non prenderebbe il rischio di un viaggio così pericoloso, “solo vorrei che mia figlia possa crescere senza la paura che, una volta adolescente, venga arruolata da una pandilla. In quei casi non hai scelta: o la lasci andare o la uccidono”, conclude.
Riscaldamento globale e migrazione
La spinta decisiva alla carovana honduregna l’hanno data Eta e Iota, i due violenti uragani che a novembre 2020 che hanno colpito l’America Centrale, a distanza di due settimane l’uno dall’altro. “C’è ancora fango ovunque, tutto è stato distrutto, abbiamo perso tutto”, ha detto Ismael Eliazar all’agenzia di stampa Associated Press. Gli uragani, sempre più frequenti nella regione, sono un’altra delle conseguenze del cambiamento climatico, del riscaldamento delle temperature dei mari. Il 2020 è stato l’anno più caldo mai registrato da quando l’uomo prende la temperatura della terra, e anche per gli oceani è stato un anno da record, secondo uno studio pubblicato sulla rivista Advances in atmospheric sciences. “Rispetto all’anno precedente, è come se l’oceano avesse assorbito la quantità di calore prodotta da 630 miliardi di asciugacapelli in funzione giorno e notte per un anno intero”, spiegano i ricercatori. Oceani più caldi portano a un riscaldamento maggiore dell’atmosfera e quindi a piogge più intense, un numero maggiore di tempeste e uragani di maggiore intensità che aumentano anche il rischio di inondazioni.
Un problema regionale
La carovana di inizio 2021 è l’ultima – in ordine temporale – di un fenomeno esploso nell’ottobre 2018, che ha coinvolto migranti di El Salvador, Honduras, Guatemala e Nicaragua. Paesi con fragilità simili, basti citare un dato tra tanti: le iscrizioni dei bambini alla scuola primaria in Guatemala sono crollate del 14% tra il 2010 e il 2019; in Honduras del 17,3% tra il 2003 e il 2019; infine, El Salvador registra un calo del 21,21% dal 2007 al 2018 (Banca Mondiale).
Prima delle carovane del 2018, la migrazione irregolare era più silenziosa e incontrava meno ostacoli, ma da due anni i flussi sono aumentati e i Paesi del triangolo del Centro America, il Messico e gli Usa di Trump hanno posto barriere fisiche e giuridiche al movimento delle persone. Vi sono accordi sottoscritti tra Governi atti a ostacolare le carovane, sottoscritti anche dal Governo dell’Honduras. Ed è proprio il mancato rispetto degli impegni sottoscritti che ha acceso la polemica tra i Paesi centro-americani, Guatemala in testa, che accusa l’Honduras di lassismo e di mettere a rischio la sicurezza degli altri Paesi. Anche sul piano sanitario, poiché sono stati registrati 20 casi di positività al Covid-19 tra i membri della carovana.
L’effetto Biden
‘Carovana Biden’ è stata ribattezzata la carovana honduregna, a sottolineare le speranze suscitate nei migranti dal cambio di amministrazione a Washington. I quattro anni di amministrazione Trump avevano significato un giro di vite contro l’immigrazione irregolare e inutili atrocità a favore di telecamere, come la divisione dei figli dai genitori al confine con il Messico. Biden ha caratterizzato la sua campagna elettorale in netta discontinuità con la precedente amministrazione. Proprio ieri ha annunciato un piano per ottenere la cittadinanza in otto anni per coloro che sono entrati in maniera irregolare nel Paese, ma hanno poi pagato le tasse e avviato un percorso di integrazione. D’altra parte, fin da dicembre 2020, la nuova amministrazione ha messo le mani avanti, chiarendo che le condizioni di ingresso alle frontiere non potranno cambiare “come una luce che si accende e si spegne, è un processo lungo” ha spiegato Susan Rice, consigliere politico di Biden. E ancora in questi giorni, da Washington è arrivato un invito ai migranti a non mettersi in viaggio in condizioni di rischio. Invito che sembra caduto nel vuoto, a giudicare dalle immagini che arrivano dalle strade del Centro America.
Domenica 17 gennaio: Km 177 della ruta al Atlantico, sud est del Guatemala, villaggio di Vado Hondo, Chiquimula. Tra i settemila e i novemila honduregni in marcia verso gli Stati Uniti sono stati bloccati da un cordone di polizia, con gas lacrimogeni e bastonate. Con il nuovo anno, sono ripartite le carovane migranti che risalgono a piedi l’America Centrale, cercando una nuova vita negli Stati Uniti. Ma per arrivarci bisogna attraversare 2431 km, Guatemala, Messico, polizia, blocchi militari, pericoli della natura e dell’uomo. E col rischio di essere rimandati indietro, al punto di partenza, dove nessuno vuole tornare. Tornare in Honduras significa ricadere nei problemi endemici del Paese – miseria, violenza, corruzione – aggravatisi nell’ultimo anno.
In fuga dalla miseria e dalla violenza
La crisi Covid-19 ha peggiorato le condizioni già disastrate del Paese, dove un cittadino su due vive in povertà e uno su cinque in povertà estrema (con meno di $1.9 al giorno). La crisi politica risale ai tempi del ritorno alla democrazia, nel 1980, ma si è acuita negli ultimi dieci anni, a causa del malgoverno del Presidente Juan Orlando Hernández e del crescente potere delle bande (pandillas) che gestiscono il narcotraffico, controllano il territorio e terrorizzano la popolazione. L’Honduras ha uno dei tassi di morte violenta più alti al mondo; “non stiamo emigrando, stiamo scappando dalla violenza”, racconta al giornale guatemalteco Prensa LibreGeovanni Ramírez, che ha raccolto le testimonianze dei migranti nella carovana. Ramirez, honduregno trentaquatrenne, sta cercando di raggiungere gli Usa insieme a moglie e figlia, e spiega che se le cose andassero meglio nel suo Paese, non prenderebbe il rischio di un viaggio così pericoloso, “solo vorrei che mia figlia possa crescere senza la paura che, una volta adolescente, venga arruolata da una pandilla. In quei casi non hai scelta: o la lasci andare o la uccidono”, conclude.
Riscaldamento globale e migrazione
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