spot_img

Un americano che spiega la vittoria di Trump


INTERVISTA ESCLUSIVA - La rabbia della Rust Belt, della working class bianca sconfitta dalla globalizzazione, ok. L’urlo dell’America popolare e populista contro l’élite, contro l’establishment, incarnato dalla dinastia Clinton, ok. Ma per spiegare il risultato più sorprendente della storia democratica americana, l’arrivo alla Casa Bianca di un disruptor che ha mandato in tilt analisti, giornalisti, sondaggisti, violando tutte le buone norme della decenza e della competizione politica, c’è dell’altro. Occorre fare appello a qualcosa di più profondo.

I giornali inglesi dopo la vittoria di Trump, Londra, Gran Bretagna, il 10 novembre 2016. REUTERS/Toby Melville

INTERVISTA ESCLUSIVA – La rabbia della Rust Belt, della working class bianca sconfitta dalla globalizzazione, ok. L’urlo dell’America popolare e populista contro l’élite, contro l’establishment, incarnato dalla dinastia Clinton, ok. Ma per spiegare il risultato più sorprendente della storia democratica americana, l’arrivo alla Casa Bianca di un disruptor che ha mandato in tilt analisti, giornalisti, sondaggisti, violando tutte le buone norme della decenza e della competizione politica, c’è dell’altro. Occorre fare appello a qualcosa di più profondo.

Lo fa, conversando con Eastonline, Erik Jones, Direttore degli Studi Europei ed Euroasiatici, nonché Professore di Studi Europei e Politica Economica Internazionale, presso la School of Advanced International Studies (SAIS) della Johns Hopkins University: «Trump ha vinto largamente tra i bianchi americani. In questo gruppo ci sono anche le donne. Inoltre ha ottenuto un grande successo tra i ceti ad alto reddito. Quindi, se continuiamo a dire che questo voto è semplicemente il prodotto di una “rabbia contro l’élite” da parte dei proletari bianchi esclusi dalla globalizzazione, beh allora i dati non lo giustificano pienamente. Certo, ci sono gruppi importanti, in Florida, in Ohio e in Pennsylvania, che possono essere caratterizzati in quel modo, ma è difficile pensare che durante la campagna i politici si siano dimenticati di questi cittadini negli Stati in bilico, i quali sono stati decisivi negli ultimi tre cicli elettorali. C’è qualcosa di più profondo al lavoro, qualcosa che ha che fare con una sorta di self-sorting dell’elettorato americano. Troppe persone adesso vivono in comunità che sono politicamente omogenee. Ci sono letteralmente centinaia se non migliaia di contee in cui Trump ha vinto con un margine superiore al 20 per cento. Questi sono i voti che hanno fatto la differenza. Quando tu hai una comunità composta sostanzialmente da un solo partito, che riceve informazioni da mezzi di comunicazione e social portatori di un messaggio forte, non bisogna sorprendersi se alla fine gli elettori si allineano dietro il candidato di quel partito. Trump ha vinto perché i repubblicani controllano la geografia meglio dei democratici e perché le elezioni americane sono tanto una competizione geografica quanto popolare».

Questo contenuto è riservato agli abbonati

Abbonati per un anno a tutti i contenuti del sito e all'edizione cartacea + digitale della rivista di geopolitica

Abbonati ora €35

Abbonati per un anno alla versione digitale della rivista di geopolitica

Abbonati ora €15

ARTICOLI CORRELATI

rivista di geopolitica, geopolitica e notizie dal mondo