Dal 2015, Alternative für Deutschland vive un’ascesa vertiginosa. Questo mette in profonda crisi la politica europea della Cancelliera.
Fino a pochi mesi fa la Germania di Angela Merkel sembrava un’isola felice. Dappertutto i sistemi partitici venivano sconvolti dall’avanzata impetuosa di forze nuove, di partiti anti-establishment e antisistema, di partiti decisi a ridefinire tanto la politica nazionale quanto quella europea – ma in Germania no. Dalle parti di Berlino non si aggirava una Marine Le Pen o un Nigel Farage in salsa tedesca, e tantomeno un Pablo Iglesias o un Beppe Grillo. Altrove infatti, dalla Scandinavia alla Grecia, dall’Olanda alla Spagna, dall’Austria alla Francia, i sistemi partitici vivevano dei veri e propri scossoni, mentre il sistema partitico tedesco sembrava a prova di bomba.
La forza economica del Paese sembrava rispecchiarsi in una coesione politica più unica che rara, in un sistema partitico ormai largamente depolarizzato i cui protagonisti usavano confrontarsi con toni civili, educati, pacati. Ma fra il 2015 e il 2016 cambia tutto, con l’irruzione della Alternative für Deutschland (AfD – Alternativa per la Germania) che entro pochi mesi vive un’ascesa vertiginosa. Il partito populista di destra era, sì, entrato in alcuni parlamenti dei Länder dell’est già dal 2014, con cifre riguardevoli intorno al 10%, ma sembrava un fenomeno circoscritto all’est. Invece nella primavera del 2015 ce la fa, con il 5,5% ed il 6,1%, ad entrare nei parlamenti delle città- Land di Brema ed Amburgo.
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Dal 2015, Alternative für Deutschland vive un’ascesa vertiginosa. Questo mette in profonda crisi la politica europea della Cancelliera.