Non è una novità vedere per le strade di Pechino polizia, camionette, poliziotti intenti a girare. Ce n’è per tutti i gusti, come quelli armati che si occupano di gestire le banche, quelli nei punti caldi (come Tiananmen). Quando venne celebrata la ricorrenza dei 60 anni della Repubblica Popolare, quasi nessuno si sconvolse a vedere il passaggio dei tank per le strade, che andavano a posizionarsi per la parata militare. Da qualche giorno è stata lanciata una nuova campagna antiterrorismo: più polizia e 232 arresti in Xinjiang.
La società cinese è una società iper controllata. I posti di polizia sono tanti e a questi vanno ad aggiungersi i volontari, vecchi del partito con la fascia rossa al braccio, che controllano i quartieri e poi riferiscono alla polizia. La percezione è che tutti sappiano tutto di tutti e che al momento opportuno, le informazioni in possesso possano diventare accuse.
Eppure di fronte ai recenti attacchi con i coltelli, Pechino ha deciso un dispiegamento di forze ancora maggiore, sia nelle grandi città, sia nei luoghi periferici che costituiscono la spina nel fianco del governo (vedi Xinjiang e Tibet). A Pechino, poi, la percezione è che tutto sia collegato anche all’anniversario dei 25 anni da piazza Tiananmen, il che rende ancora più paranoici i funzionari che gestivano la sicurezza.
Nella capitale sono state organizzate 150 unità armate «per combattere il terrorismo e mantenere la stabilità», hanno specificato i media locali. Le unità – composte di 13 uomini ciascuna – sono destinate a contrastare il «terrorismo di strada» e «violenze gravi», ha reso noto la Xinhua.
Il loro obiettivo principale saranno incidenti «che coinvolgono pistole, bombe e violenza di massa o il terrorismo».

C’è anche una questione politica: in precedenza la sicurezza era gestita da Zhou Yongkang, ex numero nove e recentemente finito nel mirino della campagna anti corruzione di Xi Jinping. Significa che la sicurezza al momento può essere anche il terreno di uno scontro politico: sono in ballo tanti soldi, tante risorse e tanti uomini che nel corso del tempo possono essere fedeli o meno.
E nei giorni scorsi la dirigenza comunista ha lanciato una nuova campagna anti terrorismo, a seguito dell’attacco avvenuto nella stazione di Guangzhou (Canton), dove 6 persone sono state ferite da un commando di uomini armati di coltelli. La stessa dinamica con cui, lo scorso primo marzo, 29 persone furono uccise e 143 ferite nella stazione di Kunming.
Le autorità cinesi ritengono che i responsabili di questi attacchi siano i gruppi separatisti uighuri. Per questo Pechino ha ordinato un’operazione che ha portato all’arresto di almeno 232 persone, nella regione autonoma nord occidentale del paese, da sempre considerata una sorta di «nemico interno» dalla leadership del Partito.
La notizia degli arresti è stata diffusa mentre il ministero della Pubblica Sicurezza ha annunciato che rafforzerà la presenza delle forze di polizia per le strade di Pechino, con il dispiegamento di 150 veicoli corazzati e squadre di 13 agenti ciascuna che avranno il compito di «reprimere il terrorismo, la violenza di massa e il crimine violento», secondo quanto riportato dai media locali.
Non è una novità vedere per le strade di Pechino polizia, camionette, poliziotti intenti a girare. Ce n’è per tutti i gusti, come quelli armati che si occupano di gestire le banche, quelli nei punti caldi (come Tiananmen). Quando venne celebrata la ricorrenza dei 60 anni della Repubblica Popolare, quasi nessuno si sconvolse a vedere il passaggio dei tank per le strade, che andavano a posizionarsi per la parata militare. Da qualche giorno è stata lanciata una nuova campagna antiterrorismo: più polizia e 232 arresti in Xinjiang.