Svalutazione, tagli drastici alla spesa pubblica, eliminazione di sussidi, riforme delle pensioni e degli aiuti sociali. Partito lo shock economico in Argentina. Ma su Cina e Brasile, Milei fa passi indietro
Non c’é alternativa. Così ha giustificato il neoministro dell’economia, Luis Caputo, le drastiche misure di austerity decise quarantotto ore dopo l’insediamento del presidente Javier Milei in Argentina.
Caputo è apparso in un videomessaggio diffuso martedì sera cercando di spiegare il più pedagogicamente possibile uno dei piani economici più conservatori mai attuati nella storia recente del paese.
Fissato a 800 pesos il valore del dollaro, valuta di riferimento per l’intera economia argentina, più del doppio rispetto alla settimana scorsa. Una misura che ha fatto immediatamente schizzare i prezzi: molti negozi a Buenos Aires hanno direttamente deciso di non aprire mercoledì perché era impossibile determinare i nuovi listini. Lo stesso presidente lo aveva preannunciato durante il suo discorso di insediamento di domenica: per dicembre e gennaio sono previsti tassi d’inflazione superiori al 20% mensile.
“Dobbiamo combattere il deficit fiscale”, ha sostenuto Caputo. Secondo la visione del nuovo governo, il rosso è dovuto alle spese folli volute dai governi degli ultimi anni, finanziati con il debito e la stampa di moneta, che spiegherebbero l’attuale 150% di inflazione con cui l’Argentina chiude il 2023.
E allora al via il piano “motosega”, largamente anticipato dal leader dell’estrema destra argentina durante la campagna elettorale. I primi tagli interessano soprattutto i sussidi con cui lo stato ha sostenuto i consumi nel settore trasporti ed energia per molti anni, la struttura dello stato e la spesa per la pubblicità ufficiale.
Ridotti a 9 i ministeri, tagliate 50 segretari e 42 sottosegretari, annullati tutti i contratti di lavoro statali stipulati nel corso degli ultimi 12 mesi, e verranno sospesi tutti gli appalti in tutto il paese che non abbiano ancora iniziato i cantieri.
Ma le misure per la riduzione del costo dello stato, o della “casta” nella retorica di Milei, rappresentano un risparmio infimo rispetto ai piani del governo: lo 0,00142% del Pil. Il nuovo esecutivo prevede invece un risparmio del 5% del prodotto per il 2024.
Contrariamente a quanto sostenuto in campagna elettorale, la mannaia “libertaria” si concentrerà sulle spese che incidono direttamente sui consumatori. Trasporti più cari e bollette alle stelle a partire dal primo gennaio, ma anche tagli alle pensioni, ripristino delle imposte sui redditi medi -eliminati in piena campagna elettorale dal governo uscente -, congelamento dei salari pubblici e liberalizzazione dei prezzi. L’obiettivo è risparmiare circa 6 miliardi di dollari per raggiungere l’agognato deficit zero. A qualunque costo.
“Non c’è alternativa allo shock”, ha sostenuto Milei domenica scorsa. “Naturalmente ciò avrà un impatto negativo sull’attività economica, sull’impiego, i salari, la quantità di poveri e indigenti. Ci sarà stagflazione, é vero. Ma non é molto diverso da quel che è successo negli ultimi 12 anni”.
Un piano durissimo, che provocherà senza dubbio una reazione altrettanto dura da parte dei movimenti sociali e sindacati, già sul piede di guerra dopo soli quattro giorni di governo. Ma il presidente ha già avvertito: non verranno tollerati blocchi stradali e picchetti, tipici delle proteste argentine.
La situazione argentina è, in ogni caso, allarmante. Secondo dati forniti dal ministero dell’Economia, il debito pubblico ha toccato il record di 419 miliardi di dollari ad ottobre 2023, di cui 150 miliardi sono con l’estero. Poco meno di un terzo di quel debito deriva dal prestito chiesto nel 2018 dall’ex presidente Macri, oggi principale alleato di Milei in Parlamento, al Fondo Monetario Internazionale, con tutti i condizionamenti che ciò comporta.
Una cosa però è certa: il nuovo governo argentino è disposto ad attuare un piano ancor più ambizioso in termini di risparmio e tagli al welfare di quelli che tradizionalmente il Fondo impone ai suoi debitori. L’organismo multilaterale di credito è stato indulgente fino ad ora con Buenos Aires, mentre durava la campagna elettorale. Oggi il deficit è stimato intorno 4,9%, ben oltre l’1,9% accordato per ottenere i pacchetti di aiuto rinegoziati dopo la scadenza del prestito del 2018.
“Non ci sono soldi”, è il nuovo slogan dell’eterogenea compagine di governo raccolta intorno al leader anarco-capitalista. L’Argentina è ormai da due anni tagliata fuori dai finanziamenti internazionali, e ha cercato le soluzioni più fantasiose per poter trovare fondi per compiere i propri impegni col Fmi.
Il piano internazionale è stato chiave in questo senso: ad agosto il Qatar ha girato 580 milioni di dollari in Diritti Speciali di Prelievo per aiutare Buenos Aires a cancellare parte degli interessi del prestito col Fondo. Proprio dal Golfo Persico, si presume, potrebbero giungere nuovi aiuti per l’economia argentina. L’ex presidente Macri potrebbe essere fondamentale in questo senso.
Ma il principale alleato internazionale dell’Argentina in questo ambito è, ancora una volta, la Cina. Pechino ha liberato ad agosto circa 3 miliardi di dollari dello Swap di monete che mantiene da diversi anni con Buenos Aires per il pagamento delle ultime tranche del 2023 degli interessi del debito, e il governo prevede di avvalersi nuovamente degli Yuan per assicurarsi i 923 milioni di dollari che scadono il 31 dicembre.
Il principale intralcio, però, sembrava proprio Milei. Per anni lo stravagante economista argentino ha sbraitato contro la Cina, dichiarando apertamente che non avrebbe intavolato alcuna relazione con la Repubblica Popolare in caso di fosse stato eletto. Meno di 24 ore dopo il suo insediamento, una delegazione del governo cinese si è presentata alla Casa Rosada per capire se quelle dichiarazioni dovevano essere prese sul serio. A far conoscere la posizione ufficiale di Buenos Aires sulla relazione con la Cina sono stati gli stessi diplomatici cinesi: sostegno alla dottrina di una sola Cina e mantenimento delle relazioni commerciali.
Mercoledì scorso, lo stesso Milei ha inviato una lettera a Xi Jinping per assicurarsi la continuità dell’appoggio economico nei confronti del suo governo.
L’altro dossier su cui il governo Milei ha dovuto fare dietrofront è quello del Brasile. Dopo gli insulti lanciati contro Lula in campagna elettorale e l’invito ufficiale consegnato a Bolsonaro per la partecipazione all’insediamento di domenica, il ministero degli Esteri è corso ai ripari per evitare la rottura con il principale partner commerciale dell’Argentina.
La Ministra degli Esteri Diana Mondino ha effettuato un viaggio lampo a Brasilia la settimana scorsa per convincere – senza successo – Lula a partecipare alla cerimonia di avvio del governo Milei. E’ stato anche confermato l’ambasciatore nominato dal governo uscente di centrosinistra, Daniel Scioli, con cui il governo brasiliano mantiene una buona relazione da diversi anni. Ma il rapporto rimane comunque teso.
Non c’é alternativa. Così ha giustificato il neoministro dell’economia, Luis Caputo, le drastiche misure di austerity decise quarantotto ore dopo l’insediamento del presidente Javier Milei in Argentina.
Caputo è apparso in un videomessaggio diffuso martedì sera cercando di spiegare il più pedagogicamente possibile uno dei piani economici più conservatori mai attuati nella storia recente del paese.