Terrore nella città di Messi e Di María. Le autorità inaspriscono le condizioni di detenzione dei boss e le gang rispondono uccidendo civili a caso nelle strade. Il presidente Milei schiera le forze federali ma la città è paralizzata.
Scuole chiuse, trasporti pubblici paralizzati, taxi sospesi, servizi sanitari ridotti al minimo. A Rosario, la seconda città più popolosa dell’Argentina dopo Buenos Aires, è interrotto da giovedì anche il servizio della nettezza urbana.
I movimenti femministi hanno sospeso la manifestazione di venerdì in occasione dell’8 marzo. “Non ci sono le condizioni minime per garantire la sicurezza di chi si mobilita”, hanno spiegato in conferenza stampa le organizzatrici. Proprio durante la settimana dell’8M, data particolarmente sentita nel Paese dove è sorto il Ni Una Menos, a Rosario è dilagato il terrore per le strade.
Il tutto è iniziato martedì 5 marzo, quando due sicari giovanissimi, ingaggiati dai potentissimi clan che da anni controllano di fatto la città, hanno ucciso un tassista a sangue freddo. Avevano chiesto un taxi attraverso un numero whatsapp messo a disposizione dall’azienda per i propri clienti, e una volta giunti a destinazione lo hanno freddato al volante senza rubare nulla. Il giorno dopo la stessa scena: un secondo tassista è crivellato con sedici colpi sulla sua macchina ancor prima di salutare il presunto cliente.
Il panico è dilagato a partire da giovedì, quando alla fermata della linea K dell’autobus un giovane ha finto di voler salire sulla vettura per poi scaricare una serie di colpi contro l’autista. L’autobus era pieno di passeggeri, e i sicari, che agiscono a volto scoperto, si sono dileguati nel traffico.
“Preparate le casse da morto”, è stato il messaggio lasciato sull’autobus in un pizzino scritto a mano. L’autista è morto due giorni dopo all’Ospedale Clemente Álvarez, e il sindacato dei dipendenti dei trasporti pubblici ha dichiarato immediatamente lo sciopero, che si aggiunge a quello dei tassisti, paralizzando così di fatto l’intera città durante quattro giorni.
L’ondata di omicidi rappresenta una risposta unificata da parte dei clan di Rosario contro la decisione del governatore della provincia di Santa Fe, Maximiliano Pullaro, e il suo ministro per la sicurezza, Pablo Cococcioni, di inasprire le condizioni di reclusione dei boss detenuti nelle carceri della città. Lunedì scorso il governo locale ha diffuso una serie di fotografie che ritraggono diversi membri delle gang narcos ammanettati a torso nudo e ammucchiati nei corridoi di una delle carceri di massima sicurezza della città. Proprio come nel Salvador, dove il presidente Nayib Bukele ha lanciato una polemica guerra contro le gang che mantiene il Paese in “Stato d’emergenza” da due anni. Il messaggio del governatore Pullaro era chiaro: mano dura. Nelle celle sono stati requisiti telefoni cellulari, quaderni, ed ogni elemento che potesse essere utilizzato per comandare le attività dei gruppi narcos da dentro. Si tratta proprio di uno dei fenomeni più discussi a Rosario negli ultimi anni: le carceri sono diventate un ufficio dei boss, da dove dirigono le operazioni del crimine organizzato con la connivenza delle autorità locali.
Sabato pomeriggio su un cavalcavia nei pressi del centro di Rosario è apparso uno striscione che diceva: “Pullaro e Cococcioni si sono messi contro i nostri figli e i nostri parenti… seguiranno le morti di innocenti tassisti, autisti di autobus, netturbini e commercianti”. La promessa è stata compiuta poche ore dopo.
Nella notte fra sabato e domenica un altro giovanissimo sicario ha ucciso a colpi di pistola Bruno Nicolás Bussanich, venticinquenne impiegato in una stazione di servizio del centro. Il tutto ripreso dalle telecamere a circuito chiuso, e le immagini hanno fatto il giro del Paese in pochi minuti.
Anche in questo caso è apparso un nuovo messaggio: “Questa guerra non è per il territorio. È contro Pullaro e Cococcioni. Vogliamo che si rispettino i nostri diritti”. Nel giro di poche ore la stampa locale ha diffuso il profilo di Bussanich, sostenitore del partito del presidente Javier Milei, per il quale ha fatto attivamente campagna elettorale nel 2023.
Lo stesso Milei ha lasciato un messaggio alla famiglia del giovane ucciso, e ha promesso un intervento immediato da parte del governo federale: “Finché sarò presidente, non smetteremo di dargli la caccia. Non smetteremo di requisire le prigioni. Non esiteremo quando sarà in gioco la vita di un innocente. Non permetteremo che continuino a governare Rosario. Le forze di sicurezza hanno il nostro sostegno incondizionato per fare tutto il necessario per ristabilire l’ordine”, ha sostenuto il presidente.
Il Ministro della Difesa Luis Petri ha annunciato il dispiegamento delle forze armate in città, una misura che però potrebbe essere bloccata sul nascere. Dai tempi dei continui tentativi di colpo di stato portati avanti dall’esercito argentino negli anni ’80 e ’90, la legge proibisce l’intervento delle forze armate in questioni di sicurezza interna. Proprio per questo esistono forze federali, come la Gendarmeria, legate al ministero della Difesa ma comandate da personale civile, che aumenterà la propria presenza a Rosario nelle prossime ore.
Ma la situazione rimane gravissima. Dopo la breve pausa che segue ogni avvicendamento politico post elettorale, la guerra narco che attanaglia Rosario da più di dieci anni è ripresa più violenta che mai. I clan, per la prima volta uniti in un potentissimo sodalizio contro lo Stato, hanno deciso di applicare la strategia del terrore: uccidere innocenti, a caso, per strada e a volto scoperto, per mettere in ginocchio le autorità. Non è casuale che tutto ciò avvenga a Rosario. La città possiede il secondo porto più grande dell’Argentina, situato nel cuore di una delle zone produttive più importanti dell’America Latina. Da qui partono ogni anno tonnellate di cereali, carne, soia, diretti ai mercati più importanti del mondo, ed è proprio per questo che il narcotraffico internazionale l’ha scelta come capitale del crimine organizzato in Argentina. Il porto di Rosario si affaccia sul Río Paraná, fiume che collega l’Atlantico con la Triplice Frontiera tra Paraguay, Brasile e Argentina, epicentro dei traffici illegali del Cono Sud.
I sequestri di stupefacenti nei pressi del porto sono cresciuti a dismisura. Nel 2022 è stato fermato un carico di 1.680 chili di cocaina diretti a Dubai, e si stima che invii simili partono ogni mese, oltre a carichi di minor portata verso le coste europee ed africane. Le autorità della provincia di Santa Fe, di cui Rosario è la città più importante, sono storicamente state infiltrate con facilità da organizzazioni criminali, che hanno poi trovato nei popolosi sobborghi della periferia urbana manodopera a basso costo per i loro traffici.
Nel giro di pochi anni Rosario si è trasformata nell’epicentro della violenza in Argentina. Possiede un tasso di omicidi ogni 100.000 abitanti cinque volte superiore rispetto alla media nazionale, comparabile con i paesi latinoamericani più colpiti dal fenomeno della narco violenza come Colombia o Messico. Le azioni portate avanti dallo stato si sono rivelate inefficaci o addirittura controproducenti. Secondo diversi esperti, come il deputato provinciale Carlos del Frade o il professore di criminalistica dell’Università di Santa Fe, Enrique Andrés Font, la “mano dura” voluta dal governatore Pullaro e il presidente Milei non farà altro che aggravare la situazione. “Costruire l’immagine delle bande come supercriminali non fa altro che dargli maggior visibilità e amplificare la violenza”, ha scritto Font a caldo, da Rosario, dopo l’annuncio del possibile sbarco delle forze armate in città.
Sono sempre più le voci che mettono in risalto i fattori sociali che permettono al fenomeno narco di dilagare. In un paese dove il salario in bianco, di un lavoratore con contratto a tempo indeterminato, difficilmente supera la soglia della povertà, la tentazione rappresentata dall’economia del narco è molto forte. A Rosario, come praticamente in tutta l’Argentina, l’unico modo di comprare un paio di scarpe nuove vivendo in un quartiere periferico è avere a che fare con questo tipo di organizzazioni. La legalità il più delle volte non garantisce nemmeno i mezzi basici per la sopravvivenza. E a ciò si aggiunge la connivenza delle istituzioni.
Già la settimana scorsa due autobus che trasportavano un centinaio di agenti del servizio penitenziario in trasferimento verso altre zone della provincia di Santa Fe sono stati crivellati di colpi sulla tangenziale di Rosario. Sebbene non ci siano state vittime fatali, per puro caso, l’attacco ha messo in evidenza il livello dell’infiltrazione mafiosa nella polizia provinciale: i sicari sapevano esattamente l’ora e l’itinerario degli autobus, informazione che solo può essere arrivata da dentro.
Le indagini intorno agli omicidi dei due tassisti accaduti a inizio settimana scorsa poi hanno dimostrato che entrambe le vittime sono state uccise con la stessa pistola: una 9 millimetri in dotazione alle forze di polizia della provincia di Santa Fe.
Terrore nella città di Messi e Di María. Le autorità inaspriscono le condizioni di detenzione dei boss e le gang rispondono uccidendo civili a caso nelle strade. Il presidente Milei schiera le forze federali ma la città è paralizzata.
Scuole chiuse, trasporti pubblici paralizzati, taxi sospesi, servizi sanitari ridotti al minimo. A Rosario, la seconda città più popolosa dell’Argentina dopo Buenos Aires, è interrotto da giovedì anche il servizio della nettezza urbana.