“La più grande sorpresa è che per la prima volta nella storia argentina, le persone hanno votato con intelligenza nonostante una campagna elettorale impostata sulla paura”, dice a East Marcela Marino, gestore di un drugstore a Buenos Aires. Lunedì, i sostenitori della coalizione Cambiemos hanno festeggiato fino a tardi, mentre l’incredulità colpiva il peronismo kirchnerista considerato nei sondaggi capace di ottenere il 40%.
Il suo candidato Daniel Scioli ha ottenuto il 36,86% dei voti mentre Maurizio Macri della coalizione Cambiemos porta a casa il 34,33%. Si va quindi al ballottaggio, un’altra prima nella storia argentina: negli ultimi 70 anni, i candidati peronisti hanno ottenuto sempre maggioranze assolute al primo turno.
Nel 2011, Cristina Fernández Kirchner è andata al governo con il 54%, e, nel 2013, ha avuto 131 deputati su 259. Su quali errori abbia commesso per innescare un cambiamento così sorprendente, gli argentini sembrano avere le idee chiare.
“Le altissime percentuali hanno dato in passato al kirchnerismo la possibilità di far approvare legislativamente quello che volevano. Perdendo la maggioranza assoluta ora dovranno scendere a patti”, spiega Guy Bouquet, studente di giornalismo al primo anno all’Università Cattolica a Buenos Aires. Per Marino, “le persone si sono stancate della superbia e della prepotenza”.
Una delle spiegazioni della disfatta peronista ufficialista è proprio il pesante senso di divisione che i Kirchner hanno calato sulla società argentina a tutti i livelli e fin nel privato. Le famiglie divise o gli amici persi non sono un’esagerazione. “Se uno non era peronista era il nemico”, dicono i sostenitori di Macri.
Un altro errore è stato impostare la campagna elettorale – alquanto dilettantesca – insistendo sulla paura di una retrocessione delle conquiste sociali dell’era Kirchner. Il livello di violenza retorica, secondo molti, è stato addirittura simile a quello dei tempi delle dittature militari. “Se non la pensi come noi, perderai i benefici e ti ritroverai con un governo che pensa solo ai ricchi”, è stata una frase comune nella campagna elettorale.
Lo spirito divisivo del kirchnerismo, fortemente maggioritario nell’ultimo decennio, ha isolato l’opposizione tanto nel Parlamento nazionale quanto nei comuni più piccoli. Non è un caso, ma è comunque una svolta storica, che in roccaforti peroniste da sempre, dove governatori e sindaci kirchneristi hanno fatto e disfatto a volontà per anni, abbiano vinto i candidati di Cambiemos. Il caso più clamoroso è quello della provincia di Buenos Aires: 16 milioni di abitanti governati dal peronismo da sempre e senza eccezioni – e da Scioli negli ultimi otto anni. Il loro candidato ha perso a favore di una giovane donna, Maria Eugenia Vidal, che ha ribadito subito la volontà di governare insieme a tutte le forze politiche. O come in innumerevoli piccoli comuni, come Pilar, governato da 12 anni da un “barone” peronista, dove ha vinto con 10 punti di vantaggio un giovane di Cambiemos lanciatosi alla politica da poco. “Sono politici nuovi che si candidano a cariche locali perché non vogliono abbandonare le loro cittadine ma rimetterle in piedi”, spiega Bouquet.
Il grande vantaggio di Macri, tuttavia, è stato poter vantare buoni risultati come governatore del distretto federale di Buenos Aires. L’efficacia delle sue politiche si è toccata con mano. Ora, raccontano gli abitanti della capitale, le scuole non si fermano più per settimane per scioperi degli insegnanti non pagati, gli ospedali sono migliorati e le opere pubbliche finanziate, quali fognature, sono davvero state realizzate. “Paghiamo tasse un po’ più alte ma vediamo i risultati”, dice Marino. A favore di Macri, nella megalopoli che è Buenos Aires, hanno contato opere puntuali quali i nuovi tunnel sotto i passaggi a livello “che provocavano un’infinità di morti”, o la possibilità che l’alto livello di violenza e di furti possa essere contenuto. “L’Argentina ha bisogno di un cambio di mentalità, di meno risentimento e odio sociale”, dice Bouquet esprimendo anche l’opinione dei suoi coetanei.
Dal punto di vista economico non è stata una vittoria del futuro versus lo status quo, perché nessuno dei candidati, nemmeno quello peronista, ha nascosto che l’economia richiede un aggiustamento e il sistema di sussidi generalizzati non potrà essere mantenuto così com’è. Le aziende statali di gas, elettricità e acqua sono tutte in perdita e non realizzano infrastrutture da anni perché non hanno finanziamenti o quando li hanno, si perdono spesso lungo la catena della corruzione.
Macri ha messo l’accento sulla protezione dell’industria argentina senza che ciò implichi un “ritorno agli [iper liberali] anni ’90”. È stato abile a tranquillizzare le persone che le grandi imprese sarebbero rimaste statali, come la petrolifera Ypf, ma è stato rassicurante anche per imprenditori e investitori. Appena conosciuti i risultati del voto, il peso si è apprezzato rispetto al dollaro, i tassi dei bond sono scesi e le azioni sono schizzate. L’inflazione ufficiale al 25% – ma secondo altre fonti addirittura al 40% o più – ha soffiato sulla voglia di cambiamento tra tutti i segmenti della popolazione colpiti dall’iperinflazione, tra cui anche commercianti e piccoli imprenditori.
Nel film Il viaggio del regista Pino Solanas che raccontava metaforicamente il crollo dell’Argentina sotto il peso del debito esterno e quello del sogno nazionale peronista, il presidente Dr. Rana indossava le pinne per muoversi in una Buenos Aires inondata dalle acque degli scarichi. Anche le inondazioni sono state un argomento decisivo nel voto: nella provincia Scioli non ha realizzato le opere idrauliche per contenerle e i danni sono stati pesanti. Nella capitale Macri le ha fatte e le ha controllate. Il voto del 22 potrebbe segnare l’addio definitivo alla lunga era del peronismo
“La più grande sorpresa è che per la prima volta nella storia argentina, le persone hanno votato con intelligenza nonostante una campagna elettorale impostata sulla paura”, dice a East Marcela Marino, gestore di un drugstore a Buenos Aires. Lunedì, i sostenitori della coalizione Cambiemos hanno festeggiato fino a tardi, mentre l’incredulità colpiva il peronismo kirchnerista considerato nei sondaggi capace di ottenere il 40%.