Approvato il terzo decreto Draghi per inviare armi all’Ucraina. La “bussola strategica” europea cambia con la guerra e divide la politica italiana
La guerra in Ucraina sta cambiando l’Europa. E, in molti casi, non in peggio. La conferma all’Eliseo di Emmanuel Macron che, come Presidente di turno dell’Unione europea, ha svolto un ruolo attivo nelle ultime settimane per aprire un dialogo con Mosca è un primo segnale positivo che lascia bene sperare per il futuro della costruzione europea che veda finalmente concretizzarsi una politica estera e di difesa comune.
Rafforzato dal risultato delle urne Macron punterà ora tutte le sue carte per far approvare in maggio la cosiddetta “bussola strategica” che prevede un primo embrione di esercito europeo sia pure non in concorrenza con la Nato. Mario Draghi, dal suo buen retiro umbro che lo ha ospitato durante l’isolamento da Covid-19, ha accolto con soddisfazione la conferma di Macron. La sua rielezione rafforza infatti la strategia europea del Presidente del Consiglio italiano per la riforma del Patto di stabilità e il Pnrr così come le azioni di politica interna necessarie a favorire funa soluzione diplomatica per la crisi ucraina.
Dopo una prima fase di passi incerti e un po’ tentennanti due mesi fa coronati dalla “gaffe” (assai poco gradita a Washington) dell’annuncio di un viaggio a Mosca a crisi ormai conclamata, nelle ultime settimane Draghi ha ripreso in pieno il dominio del dossier ucraino. Non ci sono conferme ufficiali ma Palazzo Chigi sta lavorando a un viaggio a Kiev per un incontro con il Presidente Zelenski prima dell’annunciato viaggio a Washington, così come hanno già fatto altri leader europei.
Petro Poroshenko, Presidente dell’Ucraina dal 2014 al 2019 ha detto di attendere Draghi “a braccia aperte”. “Lo conosco bene – ha aggiunto Poroshenko – ci siamo incontrati quando ero Presidente, un grande leader europeo che non ha avuto dubbi nel sostenere la nostra causa sin dall’inizio dell’invasione russa”.
Il 29 marzo, nel colloquio telefonico con Putin, Draghi ha avuta netta la sensazione che la soluzione diplomatica è al momento una chimera. Il premier italiano ha ribadito al Presidente russo “la disponibilità del Governo a contribuire al processo di pace, in presenza di chiari segni di de-escalation da parte della Russia”. Putin si sarebbe detto d’accordo sull’ipotesi che l’Italia, i membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu, Germania, Canada, Turchia, svolgano una funzione di garanti sia sul rispetto della neutralità da parte dell’Ucraina, sia per quanto riguarda la rinuncia al nucleare di Kiev e a eventuali sinergie con la Nato. In più, le stesse fonti fanno sapere che il Presidente russo si è detto “soddisfatto” per come procedono i negoziati di Istanbul e per la decisione dell’Ucraina di restare neutrale sul modello Austria. A un certo punto del colloquio la chiamata si è interrotta ed è stato Putin a ritelefonare. Assieme hanno concordato “sull’opportunità di mantenersi in contatto”. Ciò significa che Putin e Draghi torneranno a sentirsi, dopo che in febbraio l’esplosione della guerra aveva fatto saltare la trasferta del premier italiano a Mosca.
La prossima missione di Draghi in Ucraina servirà anche per chiarire la notizia non confermata sulla morte di 11 foreign fighters italiani in Ucraina nel corso di operazioni di combattimento contro i russi. Diverse fonti di intelligence hanno smentito la notizia: “non c’è la conferma né della presenza in loco né della morte dei connazionali – hanno fatto sapere fonti di intelligence – tuttavia la notizia fatta pervenire a palazzo Chigi dal ministero della Difesa russo è in corso di accertamento”.
Ma la visita di Draghi a Kiev coinciderà molto probabilmente con l’approvazione del terzo decreto per l’invio di armi a Kiev. Il 26 aprile, nella base americana di Ramstein in Germania, si è tenuto un maxi vertice tra 40 Ministri della Difesa, venti di Paesi della Nato e altri venti che stanno fornendo armi alla resistenza ucraina. L’Italia, oltre a predisporre un pacchetto di aiuti economici da 200 milioni a favore di Kiev (oltre ai 110 già stanziati), sta preparando l’invio di artiglieria e cingolati pesanti. Sistemi di difesa come i Sidam 25 antiaereo montati su cingolati M113 e anche mezzi molto più moderni come una settantina di obici PzH2000 di fabbricazione tedesca con gittata massima di 40 Km.
Nonostante le resistenze di alcuni settori dei Cinque stelle e di una parte della sinistra, Draghi sa di avere disco verde nell’invio di altre armi alla resistenza ucraina. Dietro queste forniture ci sono le prove in corso per chi salirà sul vagone di testa della difesa europea che avrà molto probabilmente una guida francese. “La Bussola – ha detto Draghi in Parlamento – è stata adattata alla luce della guerra in Ucraina, che rappresenta la più grave crisi in ambito di difesa nella storia dell’Unione europea e prevede l’istituzione di una forza di schieramento rapido europea fino a 5mila soldati e 200 esperti in missioni di politica di difesa e sicurezza comune. A queste iniziative si aggiungono investimenti nell’intelligence e nella cybersicurezza, lo sviluppo di una strategia spaziale europea per la sicurezza e la difesa e il rafforzamento del ruolo europeo”.
L’ex Presidente della Commissione Ue Romano Prodi non si stanca di ripetere che sulla difesa europea occorrerà arrivare a un meccanismo di cooperazione rafforzata. La pensa allo stesso modo il segretario del Pd Enrico Letta. “Ritengo – ha detto di recente Letta – che non ci possa essere una scelta vera, un passo avanti sulla difesa comune, se non c’è un impegno, un passo chiaro dei cinque grandi Paesi europei. Francia, Germania, Italia, Spagna e Polonia che dicono ‘decidiamo di andare in questa direzione, con questi tempi’. Se non c’è questo, non credo ci possa essere una difesa comune. Poi ci saranno gli altri passaggi burocratici, ma il mio auspicio è che questo passo ci sia e che l’Italia ne sia promotrice, considerando il ruolo importante che svolgono Spagna e Polonia”.
Eppure le armi all’Ucraina dividono la politica italiana. A cominciare dalle “esternazioni” del Presidente della Commissione Esteri del Senato, il grillino Vito Petrocelli, che si è impossessato di un simbolo delle truppe russe, ossia la Z scritta col gesso sui mezzi blindati e sui camion militari che hanno invaso l’Ucraina. A Mosca è comparsa sulla fiancata delle auto, sui cartelloni pubblicitari e sulle bandiere sventolate dai seguaci di Vladimir Putin. Alla vigilia del 25 aprile il filorusso Petrocelli ha infilato la Z in una frase di augurio inviata pubblicamente via Twitter: “Buona festa della LiberaZione”. A stretto giro, la presa di posizione di Giuseppe Conte, leader del Movimento: “Vito Petrocelli è fuori dal Movimento 5 Stelle. Stiamo completando la procedura di espulsione. Il suo ultimo tweet è semplicemente vergognoso. Il 25 aprile è una ricorrenza seria. Certe provocazioni sono inqualificabili”. Tra le repliche al post di Petrocelli c’è chi ha risposto: “Buona festa di Liberazione denazificata”, riportando quella “Z” alla sua versione minuscola. E dal Pd arriva la reazione: “Basta con queste continue provocazioni – afferma il capogruppo Dem in Commissione, Alessandro Alfieri – è ora che intervenga la Presidente del Senato, Elisabetta Casellati”.
Una posizione, quella di Petrocelli già nota da tempo, quando il 31 marzo ha votato no alla fiducia sul decreto Ucraina. Posizione, rivendicata più volte dal senatore, che ha aperto un fronte, su cui ancora si continua a dibattere, in merito alla sua espulsione dai 5S.
Ma Petrocelli non è isolato. Anche alcuni settori della sinistra guardano con preoccupazione l’invio di armi. Come l’ex Presidente della Camera, deputata del Pd Laura Boldrini: “Trovo molto preoccupante – ha fatto sapere la Boldrini – che l’Unione europea stia rispondendo a questa crisi inviando armi. L’Unione europea è il più grande progetto di pace della storia: Paesi che per millenni si sono fatti la guerra da oltre settant’anni vivono in pace. Le controversie non si risolvono più con le armi, ma con i trattati e le convenzioni”. Durante l’esame del decreto legge sull’invio di aiuti militari in Ucraina la Boldrini si è astenuta per quanto riguarda le armi a Kiev, in dissenso con quanto fatto invece dal resto dei deputati Dem. Secondo l’ex Presidente della Camera, mandare armi in Ucraina in questo momento va “nella direzione opposta alla distensione” e “la corsa agli armamenti è un tornare indietro di decenni”. “Zelensky – aggiunge la Boldrini – chiede quello che lui ritiene essere utile al suo Paese. È una richiesta legittima, ma non sarà attraverso questa strada che si risolverà la guerra. La guerra si risolverà solo per via negoziale”.
Ma guerra vuol dire anche crisi economica e non solo in Russia a causa delle sanzioni. Nelle sue previsioni il Fondo monetario segnala che “per alcune delle più grandi economie europee come Francia, Germania, Regno Unito e Italia è prevista una crescita trimestrale molto debole o negativa alla metà del 2022”. Il Fmi ha previsto per l’Italia un Pil a +2,3% quest’anno, +1,7% il prossimo e +1,3% nel 2024. Il responsabile del Dipartimento Ue del Fmi, Alfred Kammer, ha precisato: economie come “Francia, Germania, Italia e Regno Unito sono previste crescere a malapena o anche contrarsi per due trimestri consecutivi quest’anno”.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di maggio/giugno di eastwest.
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Rafforzato dal risultato delle urne Macron punterà ora tutte le sue carte per far approvare in maggio la cosiddetta “bussola strategica” che prevede un primo embrione di esercito europeo sia pure non in concorrenza con la Nato. Mario Draghi, dal suo buen retiro umbro che lo ha ospitato durante l’isolamento da Covid-19, ha accolto con soddisfazione la conferma di Macron. La sua rielezione rafforza infatti la strategia europea del Presidente del Consiglio italiano per la riforma del Patto di stabilità e il Pnrr così come le azioni di politica interna necessarie a favorire funa soluzione diplomatica per la crisi ucraina.