Ieri cadeva il quinto anniversario dell’attacco terroristico più letale che l’India abbia subìto nel suo passato recente. 60 ore di terrore e morte per mano di Lashkar-e-Taiba (LeT), cellula terroristica islamica pakistana.

Verso la fine di novembre del 2008 un commando formato da dieci terroristi addestrati in Pakistan raggiunge le coste dell’India occidentale, senza che le misure di contrasto e controllo messe a punto da Delhi se ne accorgessero. Dopo alcuni giorni di silenzio, la cellula si attiva il 26 novembre, attaccando con armi semiautomatiche il centro della capitale finanziaria del paese, Mumbai.
Entrati nel Taj Mahal Palace Hotel, albergo di lusso vicino al Gateway of India di Mumbai, i dieci sparano all’impazzata, asserragliandosi all’interno dell’hotel per sessanta ore. Quando le forze speciali indiane intervengono, uccidendo nove dei dieci terroristi (il decimo, Ajmal Kasab, è stato impiccato nel 2012 dopo che la richiesta di grazia inviata al presidente Mukherjee è stata respinta) il bilancio dell’attentato sarà agghiacciante: 166 morti, di cui 26 stranieri, e oltre 300 feriti.
Da quel momento il governo si sarebbe impegnato a garantire una maggiore sicurezza del paese dalla minaccia costante del terrorismo, sia nella versione straniera proveniente dal Pakistan (col probabile coinvolgimento dei servizi segreti di Islamabad, l’Isi, in connivenza con LeT) che nella miriade di sottogruppi interni, tra estremisti islamici, hindu, minoranze etniche e naxaliti maoisti.
Viene fondata una polizia federale ad hoc, la National Investigation Agency (Nia), col compito di prevenire e sventare la costante minaccia terroristica. A cinque anni da quel 26 novembre la stampa indiana si è chiesta quali passi in avanti siano stati compiuti a livello di sicurezza, considerando che il rischio di azioni terroristiche è sempre molto alto.
In un articolo molto puntuale pubblicato da The Hindu si mettono in fila un po’ di cifre interessanti per dare un quadro generale della situazione.
La Nia, che dovrebbe contrastare il terrorismo in un paese da 1,2 miliardi di persone, ad oggi conta 650 “superpoliziotti”, 388 dei quali attivi. Il Federal Bureau of Investigation americano, preso come termine di paragone, vanta uno staff di 34.019 persone, di cui 12.979 agenti specializzati in antiterrorismo.
Ancora più indicativo e il rapporto agenti/casi di cui occuparsi: tutti i dipartimenti di sicurezza indiani, sommati, hanno a disposizione un personale di 11.279 unità; i casi che competono alla sicurezza nazionale, nel 2011, sono stati 6.252.729. Significa che ogni impiegato nella sicurezza indiana, amministrazione compresa, dovrebbe gestire 533 casi a testa in un anno.
Insomma, l’India – nonostante la reputazione di stato pacifico e bonario – effettivamente è una pentola a pressione sempre sul punto di poter sfiatare. E pensare di poter avere completamente sotto controllo una situazione complessa e in continua evoluzione come quella in cui versa il secondo stato più popoloso al mondo rimane un’utopia irrealizzabile se l’India intende contare solo sulle proprie forze interne.
Ieri cadeva il quinto anniversario dell’attacco terroristico più letale che l’India abbia subìto nel suo passato recente. 60 ore di terrore e morte per mano di Lashkar-e-Taiba (LeT), cellula terroristica islamica pakistana.