Il ministro degli Esteri Kurz propone una strategia per prevenire il terrorismo e nomina al vertice uno dei massimi esperti al mondo.
Non sono molte le occasioni nelle quali l’Osce appare sui mass media, le viene conferito un ruolo di un certo peso nella politica internazionale. Di norma accade a inizio anno, quando un paese ne assume la presidenza di turno. Questo essere sostanzialmente “defilata’ spiega anche la confusione che si fa spesso tra questa che è l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa e l’Ocse, acronimo che sta invece per Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico. Entrambe nate (o le loro precorritrici) nell’immediato secondo dopoguerra, hanno sede, la prima a Vienna, la seconda a Parigi.
Tornando all’Osce. L’organizzazione si compone di 57 paesi membri (che coprono tutta l’Europa, più un’ala centro asiatica, Mongolia compresa, e anche Usa e Canada), i quali però, diversamente dalla Nato o dall’Unione Europea, non hanno necessariamente la stessa politica di sicurezza o integrazione. Il che vuol dire, per ogni decisione da prendere c’è bisogno del voto unanime di tutti gli stati membri.
Quest’anno la presidenza di turno è dell’Austria che ha ricevuto il testimone dalla Germania e lo passerà, a fine anno, all’Italia. Sebastian Kurz, il ministro degli Esteri, del Partito popolare austriaco (Övp), nel discorso di inizio anno ha sottolineato l’impegno da parte della presidenza austriaca di voler contribuire, se non alla risoluzione, per lo meno a passi concreti in avanti, nei cosiddetti frozen conflicts: primo tra tutti quello nell’Ucraina orientale, dove il Protocollo di Minsk, firmato nel settembre del 2014 da tutte le parti in causa (Ucraina, Russia e le Repubbliche separatiste di Doneck e Lugansk) e che prevedeva un immediato cessate il fuoco, a oggi non è ancora attuato veramente.
Ma cosa può fare l’Osce nel caso dell’Ucraina, o della regione del Nagorno-Karabakh, contesa tra Armenia e Azerbaigian, e ancora in quella della Transnistria? Come spiegava tempo addietro in un’intervista il Segretario generale dell’Osce, l’italiano Lamberto Zannier: “Il nostro compito è quello di prevenire i conflitti. E proprio questo lavoro di diplomazia, consiglia di lavorare molto dietro le quinte. Potremmo peròparagonarci anche a una piattaforma neutrale, che allora offre alle parti in conflitto un luogo neutrale dove incontrarsi e dialogare”. Di fatto, l’Osce ha la forza politica che le viene conferita dagli stati membri e solo il consenso unanime da parte di tutti i 57, autorizza l’intervento. Questa clausola non facilita ovviamente il lavoro, in particolare di questi tempi: ottenere oggigiorno l’unanimità, ricorda molto una chimera, più che un obiettivo, il quale, per quanto difficile, comunque raggiungibile.
Accanto al classico ruolo “di fare da ponte tra Est e Ovest” Kurz, nel suo discorso ha annunciato anche un nuovo fronte di impegno. Tra i ruoli e le funzioni dell’Osce c’è quello della prevenzione al terrorismo. Un compito che Kurz, anche alla luce degli attentati che hanno insanguinato il 2015 e il 2016, vuole ora riempire di contenuti concreti. Perché, come ha detto il ministro, non è sufficiente combattere militarmente il sedicente stato islamico, bisogna attuare soprattutto un efficace lavoro di prevenzione. “Sappiamo che sono oltre 10 mila le persone che, provenienti dall’area Osce, si sono recate in Siria e in Iraq per uccidere e violentare. Il ritorno un giorno di queste persone, costituirà un enorme problema”. Alle parole Kurz ha voluto far seguire anche subito (almeno) un fatto. E così non si è limitato a sollecitare gli stati membri a scambiare tra di loro programmi di de-radicalizzazione e di lotta al terrorismo. Per coordinare questo scambio ha chiamato uno dei massimi esperti di terrorismo internazionale, il tedesco Peter Neumann, docente al London King’s College.
Le intenzioni di Sebastian Kurz sono indubbiamente buone, ciò nonostante, il ministro austriaco non convince tutti. Qualche settimana fa, Kurz in un’intervista aveva avanzato la proposta che in futuro i migranti salvati in mare, potranno entrare in un paese solo se lo stesso avrà concesso loro l’autorizzazione. Fino a quel momento però, dovranno essere trattenuti in centri appositamente costruiti nei paesi del Nord Africa. Una proposta che ha sollevato molte critiche, e che il ministro degli Esteri lussemburghese Jean Asselborn ha definito “di matrice chiaramente di destra e nazionalista”.