Ambasciatore. Nel 2022 è stato Presidente della Commissione per la Selezione dei candidati alla Carriera Diplomatica.
Il diplomatico italiano: una professione in via d’estinzione?
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I dati relativi agli ultimi concorsi diplomatici stimolano alcune riflessioni su quella che è una delle professioni più prestigiose della pubblica amministrazione italiana.
Nel 2022 sono state presentate 1731 domande, ben 980 in meno rispetto all’anno precedente. È il numero più basso dal 2010. Numeri identici per il concorso in fase di svolgimento. Siamo lontani dal picco di 5954 domande del 2013. Gli ammessi alle prove scritte sono ormai un numero esiguo. Dai 415 del 2022 si è passati ai 285 di quest’anno. Un rapporto tra concorrenti e posti messi a concorso (50) tra i migliori esistenti in un concorso pubblico. Tali numeri dovrebbero invogliare un numero più elevato di giovani a tentare il concorso diplomatico. E invece questo non avviene. Perché siamo di fronte a questo calo importante di “vocazioni” nonostante la carriera diplomatica sia, oltre che prestigiosa, anche ben retribuita nel settore pubblico? Perché un interesse minore in un momento storico nel quale si avverte, ancora più rispetto al passato, il bisogno di diplomazia? Perché diminuiscono le domande proprio quando l’amministrazione mette a concorso un numero importante di posti (150 nel triennio 2021-2023)?
L’interesse del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale è quello di rinfoltire i ranghi. Un numero basso di domande restringe notevolmente il “bacino” di scelta dei nuovi diplomatici e tende a vanificare gli sforzi della Farnesina che ha l’interesse di avere più’ personale per eliminare le tante situazioni difficili (a partire da quelle di molte sedi che hanno un solo diplomatico in servizio) ma senza compromettere la qualità dei suoi funzionari.
Alcuni dati aiutano a capire meglio qual è la situazione attuale e possono aiutarci ad individuare possibili soluzioni.
- Il 100% degli ammessi agli orali ha frequentato un corso di preparazione. È la conferma che i soli studi universitari non sono sufficienti a superare la prova concorsuale. I corsi di preparazione svolgono quindi una funzione fondamentale ma sono offerti da un numero sempre più limitato di istituzioni. I vincitori dell’ultimo concorso vengono dai corsi organizzati prevalentemente a Roma e Milano. Tali corsi, sulla cui efficacia non mi sembra si possa dubitare, non sono a titolo gratuito e giungono a costare fino a 6.500 euro e la loro frequenza (salvo alcune limitatissime eccezioni) non da alcun titolo riconosciuto che possa essere utilizzato per altre domande e concorsi.
- La stragrande maggioranza (poco meno del 70%) sono studenti fuori sede, molti del sud, che si sono laureati nelle seguenti università’:
- Roma LUISS 10
- Roma La Sapienza 3
- Bologna 5
- Milano Bocconi 4
- Milano Statale 3
- Milano Sacro Cuore 1
- Genova 2
- Trieste 2
- Udine 1
- Firenze 1
- Torino 1
- Università straniere 2
I dati relativi all’ultimo concorso (quello del 2023 è in pieno svolgimento) indicano che per poter superare il concorso diplomatico bisogna avere alle spalle una famiglia in grado di sostenere gli elevati oneri connessi con gli studi universitari fuori dalla propria città di residenza. Colpisce la totale assenza di laureati in Università al sud di Roma o nelle Isole (il che non vuol dire che non ci siano vincitori provenienti da queste aree del Paese, grazie alla notevole presenza di studenti fuori sede). Milano, Roma e Bologna i principali poli di richiamo.
Che fare per ovviare a questa situazione che inizia ad essere preoccupante?
Per poter fare una buona selezione è necessario poter contare su un’ampia base di candidati. La riduzione del numero delle domande è un fatto negativo e occorre invertire questa tendenza. Abbiamo bisogno di più diplomatici ma sarebbe un errore trovare la soluzione rendendo più’ facili gli esami. Ne risulterebbe un abbassamento del livello qualitativo della carriera e faremmo un pessimo servizio al Paese e alla Diplomazia italiana.
Una prima soluzione può’ essere individuata intervenendo sui corsi di preparazione al concorso.
Il numero dei corsi di preparazione si è ridotto negli ultimi anni. Non mi sembra casuale che non vi siano tra i vincitori laureati delle Università di Napoli e che non vi sia più una presenza consistente di candidati provenienti da università prestigiose (quale, ad esempio, la Cesare Alfieri di Firenze) dove in passato si sono formati alcuni dei diplomatici italiani più brillanti. Un aumento dei corsi di preparazione, e una loro distribuzione geografica equilibrata, potrebbe contribuire a coinvolgere un numero più elevato di aspiranti. Anche un ricorso più intenso ai corsi on line potrebbe essere d’ausilio soprattutto per quei ragazzi che non possono spostarsi nelle sedi dove hanno luogo i corsi.
In Italia, esiste una sola eccezione. Da 5 anni, un Istituto – editore di questa testata – offre anche la formazione a distanza, che consente di abbattere i costi, non costringendo i ragazzi a trasferirsi a Roma o a Milano, da un lato; e raggiungere, nello stesso tempo, ragazzi magari già impegnati professionalemnte, in luoghi diversi del mondo, in organizzazioni internazionali, con requisiti formidabili per candidarsi e che possono prepararsi seguendo un corso da remoto.
Un secondo strumento al quale si può fare ricorso consiste nel mettere a disposizione borse di studio che consentano la frequentazione dei corsi a laureati provenienti da famiglie a medio e basso reddito. Il fatto che i nuovi diplomatici siano nella stragrande maggioranza studenti fuori sede che hanno frequentato, al termine degli studi universitari, dei corsi di preparazione a pagamento indica che nei fatti vi è un meccanismo di selezione sociale.
Accanto agli strumenti su descritti sarebbe opportuno allargare lo sguardo e guardare al concorso diplomatico quale uno dei possibili sbocchi per chi vuole intraprendere le carriere internazionali ma non l’unico. Le materie sulle quali i candidati devono cimentarsi non sono richieste in nessun’altra prova concorsuale pubblica né nei processi di selezione per altre istituzioni internazionali. L’investimento per la preparazione di un concorso diplomatico di un candidato non è fungibile con nessun altro concorso. Il rischio è di non poter utilizzare la preparazione per soluzioni alternative e di perdere 2-3 anni in caso di insuccesso. Meglio sarebbe, come stanno facendo alcune Università, come quella di Cassino (che riconosce il titolo di Master di II livello al corso dell’Eastwest European Institue), inserire la preparazione per il concorso diplomatico all’interno di Master di secondo livello in grado di offrire agli studenti la possibilità di conseguire un titolo riconosciuto (cosa che non accade nei corsi di preparazione al concorso diplomatico) e avere una preparazione che consenta di orientarsi verso più carriere internazionali.
Credo che sia anche necessario svolgere un’azione di sensibilizzazione rivolta ai Rettori. I dati mostrano che molte università che offrono percorsi di studi che dovrebbero avere un naturale sbocco nelle carriere internazionali, producono un numero di candidati molto basso. L’assenza di domande al concorso diplomatico indica l’esistenza di un gap tra offerta formativa e sbocchi che dovrebbe preoccupare il nostro sistema educativo. Offrire corsi di laurea che finiscono nel nulla è un danno per i giovani, per le università e per il Paese.
Ritengo che un’azione lungo queste direttrici, unita a quella di promozione della carriera che la Farnesina svolge, possa ristabilire un corretto rapporto tra candidati e posti messi a disposizione.
Infine, vi sono altri dati che occorrerebbe interpretare. La tendenza all’aumento dell’età media dei vincitori del concorso e le profonde trasformazioni che hanno caratterizzato il mercato del lavoro nel periodo post-covid suggeriscono di allargare l’analisi per comprendere quanto le trasformazioni del tessuto sociale e le aspettative dei giovani abbiano un impatto sul desiderio di diventare diplomatici nella società italiana d’oggi.