Unanimi i riconoscimenti all’ambasciatore Benassi per un incarico di cruciale responsabilità politica. Fine del teorema “uno vale uno”
Che un ambasciatore si occupi di intelligence non è certo una novità. La familiarità con i dossier riservati e i rapporti con quelle che vengono definite “barbe-finte” sono all’ordine del giorno nel lavoro di molti diplomatici.
Già ben prima che un “pezzo da novanta” della Farnesina come Francesco Paolo Fulci, e poi l’ex segretario generale degli Esteri Giampiero Massolo, assumessero il ruolo di capi della struttura di coordinamento tra i due Servizi Aisi e Aise (eredi dal 2007 di Sismi e Sisde) un diplomatico vicino ai socialisti come Francesco Malfatti di Montetretto aveva costruito buona parte delle sue fortune fino ai massimi vertici della carriera diplomatica proprio sulle relazioni con i servizi dei Paesi alleati, coltivate durante l’ultima parte della guerra. La novità è, semmai, che per la prima volta un diplomatico assume il ruolo di “autorità delegata” per i servizi, ruolo riservato ai politici (si pensi a Marco Minniti) con l’unica eccezione, durante il Governo Monti, per Gianni De Gennaro ex capo della Polizia.
Chi è Pietro Benassi
Le qualità umane e professionali dell’ambasciatore Pietro Benassi, fino a due giorni fa consigliere diplomatico del premier Giuseppe Conte, nominato giovedì sera dal Consiglio dei Ministri sottosegretario per i Servizi, sono fuori discussione, come si evince facilmente dal coro di apprezzamenti giunti in suo favore dal Ministro degli Esteri Luigi Di Maio al Ministro per gli Affari europei Enzo Amendola fino ai numerosi esponenti dei 5 Stelle. Nel corso degli ultimi due anni Benassi ha introdotto con pazienza (ma anche fermezza) il Presidente del Consiglio a tutti i segreti della diplomazia fatta di regole scritte e protocolli da seguire ma più spesso di consuetudini e relazioni personali intessute negli anni. Si è guadagnato così la stima di Conte sulla preparazione e il negoziato di dossier delicati che vanno dalle relazioni turbolente con gli Stati Uniti dell’era Trump (compresi i viaggi a Roma del guardasigilli Barr per il Russiagate) alla gestione della crisi libica con la conferenza di Palermo e il sostegno al Governo di Tripoli. Ma è stato sul rientro nell’ortodossia europea che Benassi ha convinto Conte della necessità di chiudere il capitolo dell’era salviniana (e in parte dei 5 Stelle) contro Bruxelles e riaprire con le istituzioni europee un dialogo da posizioni negoziali più forti.
Strategico è stato il rapporto con la Merkel ricostruito gradualmente da Conte con l’aiuto di Benassi, che conta ancora a Berlino numerosi rapporti fin dai tempi in cui ricopriva il ruolo di ambasciatore italiano in Germania. In altre parole, uno dei “consiglieri” più vicini a Conte, un “civil servant” che ha interpretato il suo ruolo come servizio al Paese. Per Conte avere scelto lui come “autorità delegata” ai servizi è stato un po’ come dire: la cabina di regia del “comparto” resta qui a Palazzo Chigi. Formalmente le richieste di Renzi per la delega vengono soddisfatte ma nella sostanza poco a nulla potrebbe cambiare. La delega a Benassi ha anche evitato a Conte il lungo valzer delle candidature a quel posto tra Pd e grillini magari in competizione tra loro (tra i candidati c’era manche il Ministro della Giustizia Bonafede). Anzi, a ben vedere, la lunga mano di Conte sui servizi sembra rafforzarsi anche nelle strutture cardine del comparto con la nomina dei due vicedirettori dell’Aise e del vicedirettore dell’Aisi. Al servizio per l’estero andranno l’ammiraglio Carlo Massagli – fino a ieri consigliere militare proprio di Conte a Palazzo Chigi – e il generale Luigi Della Volpe (della Finanza, come il direttore del Dis Vecchione, molto vicino a Conte); mentre al servizio interno andrà il generale dei Carabineri Carlo De Donno.
Chi sarà il nuovo consigliere diplomatico
Il trasferimento di Benassi ai servizi apre ora la questione del nuovo consigliere diplomatico a Palazzo Chigi. Un ruolo che rivestirà nei prossimi mesi sempre più importanza per gli impegni della presidenza italiana del G20, l’organizzazione del Global Health Summit del 21 maggio e la partnership con gli inglesi per la Cop 26sul clima di Glasgow in novembre. Tra i candidati alla successione di Benassi si fanno già i nomi di due ambasciatori di grado: Maurizio Massari, attuale rappresentante permanente a Bruxelles, e Pasquale Ferrara, fino a pochi mesi fa ambasciatore ad Algeri da poco rientrato alla Farnesina. Massari è stato ambasciatore a Il Cairo nel momento più duro del confronto con le autorità egiziane subito dopo il ritrovamento del cadavere di Giulio Regeni. Ferrara è stato capo del servizio stampa con Massimo D’Alema e segretario generale dell’Istituto europeo di Firenze. Un ritorno a Roma di Massari (sia pure in una fase delicata come quella del negoziato sul Recovery Plan) potrebbe però soddisfare le ambizioni dell’attuale capo di gabinetto di Di Maio, l’ambasciatore Ettore Sequi, che da tempo vorrebbe chiudere la sua carriera proprio a Bruxelles.
Unanimi i riconoscimenti all’ambasciatore Benassi per un incarico di cruciale responsabilità politica. Fine del teorema “uno vale uno”
Che un ambasciatore si occupi di intelligence non è certo una novità. La familiarità con i dossier riservati e i rapporti con quelle che vengono definite “barbe-finte” sono all’ordine del giorno nel lavoro di molti diplomatici.
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