In questi giorni la Turchia torna a far parlare di sé con una nuova ondata di proteste, riaprendo le ferite di una turbolenta estate anatolica che sembrava, almeno così speravano i membri dell’AKP e lo stesso Premier, ormai lontana.

Eppure Erdogan dovrà riconoscere che si trattava in verità di una calma del tutto apparente, come dimostrano le notizie d’attualità, e come già ben sapevano i cittadini turchi, scomparsi dalle breaking news televisive e dall’azione delle strade non per effettiva arresa politica o codardia, ma per coscienza “umana”, volendo evitare di sacrificare ulteriori vite di innocenti, come quella del ragazzo morto pochi giorni fa, focolaio che ha riacceso la protesta anti-governo.
Le immagini e i video più recenti sembrerebbero rievocare le strade di Kiev o Caracas, anch’esse coinvolte in sanguinose manifestazioni, ma a differenza delle proteste venezuelane o ucraine, nel caso turco si tratta del “Secondo Round” – come lo hanno soprannominato gli studenti politicamente attivi – di una scia di proteste iniziate tra i 31 Maggio e l’1 Giugno 2013, sedate in breve tempo dal governo per mano della polizia di Stato.
Insomma, una Gezi 2.0, come amano definirla gli utenti Twitter della Turchia.
Benché scomparsi dalla scena mediatica internazionale, i manifestanti hanno scelto di continuare la protesta su Internet, preferendo il più quieto ronzio di una rivendicazione virtuale al clamore assordante delle manifestazioni di strada.
La paziente attesa degli sviluppi sul caso Elvan ne é un esempio: la vicenda ha lasciato l’intera Turchia col fiato sospeso per mesi, tenendo l’intera nazione impegnata a seguire giorno dopo giorno gli sviluppi sul coma della giovane vittima. Questi piccoli episodi confermano la teoria di una protesta civile che continua, sotto la luce dei riflettori o no, la lotta per i propri diritti, che non erano per nulla passati in secondo piano.
I media internazionali sono venuti ad una conoscenza più approfondita delle vicende Elvan solo dopo i funerali, seguiti ad Istanbul da fiumi di connazionali umanamente uniti dalla causa comune. “Perché quando colpiscono uno solo di noi colpiscono l’intero gruppo. Quindi dovevamo essere lì, per doppie ragioni: sia politiche – dimostrare la vicinanza alla causa della protesta – ma anche per motivi umani, per mostrare alla famiglia il nostro sostegno. Perché nel bene o nel male, Gezi Park ci ha uniti più di prima”, dice Gizem con sguardo serio.
Nell’iniziale indifferenza dei media stranieri, Berkin Elvan era invece già da tempo diventato il volto umano della protesta e dei chapullers turchi (nonostante si debba riconoscere che Berkin in realtà non fosse un manifestante anti-governo, ma una vittima delle sommosse per caso o per disgrazia); in breve, Berkin era diventato il nome simbolo della protesta, un po’ come il Mohammed Bouazizi della Primavera tunisina, il volto umano che riassumeva le migliaia di quelle dei çapulcu. Va quindi da sé che il repentino cambiamento di salute del giovane la notte tra il 9 e il 10 Marzo facesse presagire aria di tempesta imminente.
Tutto é (ri)cominciato l’11 Marzo, quando la morte del quindicenne, in coma da 9 mesi, viene resa nota dalla famiglia. La morte é dovuta ai danni riportati dopo un violento colpo alla testa durante una carica della polizia.
Quello che non proprio tutti sanno è che la gente si era già riversata nelle strade pochi giorni prima la morte del ragazzo. Il 6 Marzo, la condizione di salute di Berkin si era già aggravata, avendo subito un attacco apoplettico nella notte; il 9 Marzo i medici avevano diagnosticato una bolla d’aria nei polmoni. Il peso corporeo dai 45kg del giorno in cui entrò in coma precipita rapidamente a 16 in poche ore. Berkin aveva 14 anni quando è stato colpito alla testa da una bomboletta di gas lacrimogeno dalla polizia – il 16 Giugno 2013 – quando stava semplicemente facendosi largo tra i manifestanti per andare a comprare il pane per la famiglia, nel quartiere Okmeydani di Istanbul.
Il suo giovane corpo ha resistito per ben 267 giorni alle gravi ferite riportate, compiendo 15 anni durante il coma. La resistenza è venuta meno a causa del danneggiamento degli organi interni e alle bassissime funzioni cerebrali. Nell’ultimo periodo, ciò che lo teneva ancora in vita era un supporto vitale.
La società civile ha mostrato solidarietà subito poche ore dopo che la notizia era stata rilasciata dalla famiglia e dall’ospedale. Per confermare quanto la gioventù turca non abbia smesso un attimo di “chapulare”, anche virtualmente, ne è la conferma l’azione facebook collettiva di postare il disegno dell’esile figura di Berkin Elvan in coma con un angelo vegliante sopra di esso e l’hashtag comune #DirenBerkin (“Resisti Berkin”), lo stesso “Diren” hashtag simbolo delle proteste di Gezi Park. Ad Ankara, il 10 Marzo, era stata organizzata una marcia pacifica per mostrare supporto e vicinanza alla famiglia Elvan, per far sapere loro che la Turchia era con Berkin, convinti che lui avrebbe resistito, come la protesta e i suoi supporters.
Invece l’11 Marzo viene rilasciata ufficialmente dai legali della famiglia la notizia della temuta morte del ragazzo. E l’hashtag #DirenBerkin si è subito evoluta in #BerkinElvanÖlümsüzdür (Berkin Elvan è immortale), diventando virale su Facebook e Twitter.
Le proteste non hanno tardato ad essere organizzate. Le maggiori città, da Ankara, a Smirne a Istanbul, hanno visto le proprie strade riversarsi di migliaia di manifestanti, volendo conciliare la commemorazione di colui che considerano “il martire della rivolta” con ulteriori rivendicazioni politiche.
In centinaia di migliaia si riversano per le strade. E di conseguenza, pari numero di poliziotti viene chiamato a prestare urgente servizio, mandati dal governo Erdogan per placare la situazione.
Le tattiche – come annuncia lo stesso premier – vengono ristrette all’uso di gas lacrimogeno, cannoni ad acqua e manganellate, se necessarie. Eppure, paradossalmente, un altro manifestante muore lo scorso mercoledì per lo stesso motivo della recente giovane vittima, colpito alla testa da una bomboletta di gas lacrimogeno; e anche un poliziotto per infarto.
Nonostante i tumulti, le continue proteste e le ulteriori vittime, Erdogan non ha ancora commentato ufficialmente la morte di Berkin.
Le proteste non potevano ricominciare in un momento tanto opportuno (o inopportuno?): i cittadini turchi saranno infatti chiamati alle urne il 30 Marzo per le elezioni locali. Intanto il premier Erdogan ha promesso di dimettersi nel caso in cui il suo partito dovesse perdere la leadership in Parlamento.
In questi giorni la Turchia torna a far parlare di sé con una nuova ondata di proteste, riaprendo le ferite di una turbolenta estate anatolica che sembrava, almeno così speravano i membri dell’AKP e lo stesso Premier, ormai lontana.