Lay Wah (Karen State) – C’è una guerra che dagli addetti ai lavori viene definita a «bassa intensità» ma che è, a tutti gli effetti, il conflitto più lungo al mondo. E’ una delle tante guerre drammaticamente sconosciute e si combatte nella giungla della Birmania Orientale, al confine con la Thailandia, tra le montagne e i paesaggi che ancora non conoscono la modernità. In questa parte del mondo poco raccontata, che i Karen amano chiamare la «Terra senza peccato», vive questo popolo. Un popolo pacifico, originario della Mongolia e del Tibet, che è arrivato in queste zone dopo una lunga migrazione nel 730 Avanti Cristo.

Una guerra iniziata sessantasei anni fa
Dal 1949, armi in mano, i Karen si difendono dai brutali attacchi delle truppe di Rangoon e richiedono la propria autonomia. Un’autonomia che gli era stata promessa, attraverso un accordo firmato con le maggiori etnie presenti nel Paese, da Aung San – padre del premio nobel per la Pace Aung San Suu Kyi – dopo aver ottenuto l’indipendenza dalla Gran Bretagna alla fine del secondo conflitto mondiale. Ma dopo poco tempo, con un colpo di stato, il potere è passato alla sanguinaria dittatura militare del generale Ne Win e l’accordo non è mai stato rispettato.
«I nostri nemici, quelli che vogliono la nostra estinzione, erano e sono i soldati del regime birmano». A parlare, mentre guida un vecchio pick-up lungo una delle tante strade sterrate nel mezzo della giungla che dalla Thailandia portano nello Stato Karen, è il generale Nerdah Mya, leader della Karen National Defence Organization (KNDO), figlio del generale Bo Mya, leggendario eroe della resistenza Karen scomparso nel 2006.
«Vogliamo il ritiro delle truppe birmane dai nostri territori»
I negoziati per un cessate il fuoco che il governo birmano ha iniziato nel gennaio del 2012 con il Karen National Union (KNU) – il più vecchio gruppo di resistenza etnica politica Karen nato nel lontano 1947 – non hanno portato a nessun cambiamento in queste zone martoriate da ben sessantasei anni di guerra. Ed è proprio per questo che, attraverso una nota ufficiale diffusa nella giornata di ieri, il KNU ha deciso di «non firmare l’accordo di cessate il fuoco a livello nazionale» che era previsto per oggi, 12 febbraio, data in cui i negoziatori del governo di Rangoon avevano sperato di raggiungere definitivamente. «I birmani – spiega in perfetto inglese Nerdah Mya – grazie alla relativa tranquillità dovuta agli accordi iniziati nel 2012, si preparano a fare la guerra e riforniscono di armi i loro avamposti nel nostro territorio».
La decisone del KNU è arrivata dopo una riunione che si è svolta nel quartier generale del villaggio di Lay Wah dove, i capi militari e politici Karen, hanno discusso per tre giorni sul proprio futuro e sulla possibilità di raggiungere un effettivo accordo di pace con il governo birmano. «Attualmente non ci sono i presupposti per firmare un cessate il fuoco definitivo», ha commentato Mahn Mahn, un segretario della Karen National Union. «Uno dei punti fondamentali è il ritiro delle truppe birmane da buona parte dei nostri territori. Cosa che Rangoon non sta facendo».
«Tornerò presto a vivere nella mia terra»

Mentre i politici e i militari Karen stanno discutendo sul cessate il fuoco con i birmani, poco distante, nel villaggio di K’Nelly, una ventina di bambini di età compresa tra i cinque e i dieci anni, vestiti con i bellissimi abiti tradizionali Karen di color rosso per i maschi e bianco per le femmine, stanno andando a scuola. «L’istruzione è fondamentale per questi bambini. Con noi imparano a leggere e a scrivere sia nella nostra lingua, sia in inglese», spiega Thinna, una giovane insegnante Karen che ogni giorno arriva nel villaggio da Mae La, il più grande dei campi profughi che si trova in territorio thailandese e che, secondo le stime, ospita più di 50mila persone scappate dalle violenze birmane. «Adesso vivo a Mae La – dice la maestra mentre indica gli straordinari paesaggi naturalistici che fanno da cornice al villaggio – ma tornerò presto a vivere nella mia bellissima terra, insieme ai miei bambini». E come Thinna, migliaia di Karen vogliono tornare a vivere nella terra dove sono nati e dove, purtroppo, non hanno diritti.