Nell’atteso discorso alla George Washington University, il segretario di Stato americano precisa che gli Stati Uniti non vogliono una nuova “Guerra fredda” con la Cina, ma pretendono che venga rispettato il diritto internazionale
Giovedì il segretario di Stato americano Antony Blinken ha tenuto un atteso discorso alla George Washington University sull’approccio dell’amministrazione di Joe Biden nei confronti della Cina, la principale rivale economica e politica degli Stati Uniti.
Da quei quarantacinque minuti è emersa una politica non troppo diversa, nella sostanza, da quella della precedente amministrazione di Donald Trump. È una conferma della centralità di Pechino nella grande strategia di Washington per il mantenimento del primato mondiale, che supera le pur tante divisioni tra i democratici e i repubblicani. Del resto, già a gennaio 2021 Blinken dichiarò di essere “in disaccordo, molto, sul modo in cui [Trump] ha agito in diverse aree, ma il principio di base era giusto”: l’ascesa cinese va impedita.
Invest, Align, Compete
Se la meta è rimasta la stessa, il metodo elaborato per raggiungerla è però cambiato molto. Il motto di Trump era America First. La priorità data all’interesse statunitense, anche con una certa aggressività retorica, portò Washington a scontrarsi con molti dei suoi alleati e partner di riferimento – sia in Asia che in Europa che in Nordamerica –, impedendogli di costruire una coalizione utile al contenimento cinese. Lo slogan dell’amministrazione Biden è invece Invest, Align, Compete: “investire, allinearsi, competere”.
L’investimento è interno agli Stati Uniti, in quelle che Blinken chiama “le fondamenta della nostra forza”: la democrazia, la competitività e l’innovazione. Il Presidente Biden aveva definito la democrazia la “fonte del potere” dell’America: un sistema democratico funzionale, cioè, permette alla nazione di esprimere il suo potenziale economico e di rimanere la guida politica dell’ordine mondiale. Lo strumento attraverso il quale garantire la competitività statunitense è la legge sulle infrastrutture, che non servirà soltanto a riparare autostrade e ponti ma soprattutto a mettere il Paese nelle condizioni di dominare le nuove industrie create dalla transizione energetica. Innovazione, in ultimo, è sinonimo di microchip, intelligenza artificiale, batterie e biotecnologie (e i relativi standard di utilizzo).
L’allineamento, invece, riguarda il recupero e il potenziamento dei legami con gli alleati, specialmente quelli in Asia-Pacifico come l’India, il Giappone e l’Australia: in questo senso, il Quad e l’Aukus sono piattaforme cruciali.
Attraverso gli investimenti e gli allineamenti, infine, gli Stati Uniti potranno “competere con la Cina per difendere i nostri interessi e costruire la nostra visione per il futuro”, ha detto Blinken: un futuro – questo è l’obiettivo di Washington – in cui l’ordine globale dominante sia ancora quello plasmato dall’America oltre settant’anni fa.
Competizione, Guerra fredda e contenimento
Nel primo discorso da presidente al Congresso, nell’aprile di un anno fa, Biden disse: “Siamo in competizione con la Cina e con gli altri Paesi per vincere il XXI secolo […]. Dobbiamo competere più strenuamente di quanto non abbiamo fatto”. Nel 2018, l’allora vicepresidente Mike Pence descrisse la relazione tra Washington e Pechino come guidata dalla competizione e dal confronto.
L’amministrazione Biden preferisce parlare di competizione, piuttosto che di confronto. Blinken dice in realtà che esistono delle divergenze politiche e sistemiche tra Stati Uniti e Cina; la politica estera di Biden, inoltre, è tutta basata sull’opposizione tra democrazia e autocrazia.
Nel discorso alla George Washington University Blinken precisa però che gli Stati Uniti non vogliono uno scontro armato o una “nuova Guerra fredda” con la Cina, né cercheranno di isolarla. Non ne ostacoleranno la crescita economica, ma vogliono che rispetti le regole sulle proprietà intellettuali, sugli aiuti statali alle aziende e sulla reciprocità di accesso ai mercati. Non vogliono sottrarle lo status di grande potenza né proveranno a cambiarne l’assetto politico rovesciando il Partito comunista, ma pretenderanno il rispetto del diritto internazionale (Pechino reprime le minoranze etniche perché considera i diritti umani una questione interna, e dice di voler annettere Taiwan anche con la forza).
Gi interessi della Cina
Il punto è che la Cina non ha intenzione di aderire all’ordine mondiale americano, ma vuole piuttosto plasmarne uno proprio, che ne rispecchi i valori. A questo proposito, Blinken ha detto che “la Cina è il solo Paese che ha sia intenzione di rimodellare l’ordine internazionale che, sempre più, il potere economico, diplomatico, militare e tecnologico per farlo”. Il segretario ha aggiunto che la Cina sfrutta la dipendenza delle altre nazioni dalle sue tecnologie e dalla sua manifattura per imporre le proprie volontà politiche.
Il 2001 è passato da un pezzo, e gli Stati Uniti hanno ormai capito che la Repubblica popolare non si democratizzerà. “Non possiamo contare sul fatto che Pechino cambi la sua traiettoria”, ha ammesso Blinken. “Perciò plasmeremo l’ambiente strategico intorno a Pechino per far progredire la nostra visione di un sistema internazionale aperto e inclusivo”. Significa, nel concreto, creare alleanze più o meno esplicite sulla sicurezza, sugli standard per le nuove tecnologie e sul commercio. Tutte cose che la Cina interpreta come veri e propri esempi di contenimento, al di là delle rassicurazioni di Blinken.
È la Cina, non la Russia, la rivale
Era già chiaro da anni, anche ai Governi europei, ma nel suo discorso Blinken ha voluto ribadirlo ancora una volta: la priorità in politica estera degli Stati Uniti è la Cina; non certo la Russia, che non ha i mezzi economici e militari per essere una rivale. La guerra iniziata dal Cremlino in Ucraina è un intermezzo che Washington deve tenere d’occhio e che può sfruttare a suo vantaggio per indebolire un avversario, senza però perdere di vista la grand strategy: “anche se la guerra del Presidente Putin continua”, ha dichiarato Blinken, “resteremo concentrati sulla più seria sfida a lungo termine all’ordine internazionale, che è rappresentata dalla Repubblica popolare cinese”.
Blinken ha annunciato la creazione di una “China House” all’interno del dipartimento di Stato, cioè una divisione specializzata che avrà il compito di coordinare la politica cinese della struttura e di collaborare con il Congresso.
Da quei quarantacinque minuti è emersa una politica non troppo diversa, nella sostanza, da quella della precedente amministrazione di Donald Trump. È una conferma della centralità di Pechino nella grande strategia di Washington per il mantenimento del primato mondiale, che supera le pur tante divisioni tra i democratici e i repubblicani. Del resto, già a gennaio 2021 Blinken dichiarò di essere “in disaccordo, molto, sul modo in cui [Trump] ha agito in diverse aree, ma il principio di base era giusto”: l’ascesa cinese va impedita.