La sera di sabato 7 marzo dello scorso anno, il gruppo radicale nigeriano Boko Haram per mezzo di un messaggio audio giurava fedeltà allo Stato Islamico, diventando la formazione jihadista più grande e numerosa ad aver proclamato la sua bayah al califfo Abu Bakr al-Baghadadi.
L’affiliazione trasformava i territori occupati da Boko Haram in una delle allora dieci wilayat del Califfato (salite a undici, dopo il giuramento di fedeltà dello scorso 14 febbraio da parte di gruppi jihadisti filippini) e in poco meno di due mesi l’organizzazione terroristica nigeriana avrebbe anche cambiato nome in Islamic State’s West Africa Province – ISWAP (Wilayat Gharb Ifriqiya).
In una prima disamina su cosa sia mutato, oltre alla sigla, in questi dodici mesi all’interno del gruppo, appare chiaro che Boko Haram si è notevolmente indebolita in conseguenza della massiccia offensiva militare della MNJTF.
La forza d’intervento multinazionale ha ottenuto importanti risultati nella lotta agli islamisti nigeriani riducendo i raid contro molti paesi e villaggi, eliminando diversi membri di spicco del gruppo e contribuendo a interrompere parzialmente il coordinamento multimediale con lo Stato Islamico.
Inoltre, l’ISIS non ha sostenuto in alcun modo l’espansione territoriale di Boko Haram. Il Califfato pur continuando a estendersi nel nord della Libia, non ha agito in alcuna maniera per arginare le importanti perdite di territorio subite dagli estremisti nigeriani, in seguito alle operazioni di contro-insurrezione della MNJTF.
In ogni caso, nel depauperato contesto del nord-est nigeriano sarebbe stata necessaria una valida assistenza esterna da parte dei baghdadisti per assicurare le risorse finanziarie necessarie alla realizzazione di un Califfato a pieno titolo, ma gli aiuti economici dai territori siro-iracheni non sono mai arrivati.
Senza dimenticare che dal suo messaggio audio di un anno fa, con il quale annunciava il giuramento di fedeltà all’IS, il leader di Boko Haram Abubakar Shekau ha fatto sentire la sua voce solo in due occasioni. Intanto, l’esercito nigeriano infliggeva duri colpi all’organizzazione ed espugnava le sue roccaforti, liberando migliaia di civili dal giogo degli estremisti islamici.
Anche la tattica utilizzata dall’esercito nigeriano di tagliare le vie di rifornimento ai terroristi, che sconfinano spesso negli Stati limitrofi, sta dimostrando la sua efficacia. Lo avvalora quello che è accaduto la scorsa settimana a Gwoza, a circa 100 chilometri a sud-est di Maiduguri, dove decine di membri del gruppo terroristico si sono arresi ai militari in preda alla fame, dopo che già a settembre e ottobre scorsi centinaia di miliziani allo sbando si erano consegnati ai militari nigeriani.
Uno scenario in netta controtendenza con i timori che si diffusero dopo l’atto di sottomissione al califfo al-Baghdadi, secondo i quali l’insurrezione nel nord-est della Nigeria avrebbe assunto una dimensione internazionale favorita da un potenziale afflusso di combattenti stranieri verso i quattro Paesi rivieraschi del lago Ciad.
Secondo l’analista d’intelligence nigeriano Bawa Abdullahi Wase, “praticamente nulla è cambiato da quando Boko Haram si è affilato al Daesh. Non è riuscito ad attirare foreign fighter, né a reperire armi e finanziamenti da parte del suo nuovo mentore, come molti temevano”. Nella sostanza si è trattato solo di un brand che Boko Haram ha voluto utilizzare per accrescere la sua sinistra fama di gruppo terroristico.
La bayah di Shekau e il successivo rebranding del gruppo estremista in ISWAP ha inoltre causato una frattura nei vertici di Boko Haram, che ha indotto i dissidenti a stringere legami con altre formazioni jihadiste che operano nella regione del Sahel.
Alcuni consulenti governativi in materia di sicurezza prevedono che entro quest’anno il gruppo affiliato all’IS potrebbe essere ridimensionato a una minaccia in gran parte criminale e regionale, seguendo il modello dell’Esercito di liberazione del Signore, formazione guerrigliera ugandese capeggiata dal criminale di guerra Joseph Kony, che vuole instaurare uno stato teocratico in Uganda.
Ma i governi occidentali considerano ancora Boko Haram come un serio pericolo. Per questo, gli Stati Uniti hanno istituito una nuova base segreta a Garoua in Camerun, dove sono ospitati quattro droni Gray Eagle per acquisire informazioni dettagliate sui movimenti e sui campi di addestramento del gruppo estremista. Tutto ciò, mentre il Pentagono sta prendendo in considerazione l’invio di istruttori militari nel nord-est della Nigeria.
In definitiva, dopo l’adesione al jihad globale del califfo al-Baghdadi, l’unica realtà operativa di Boko Haram che appare chiaramente mutata è l’adozione del nome di ‘Provincia dell’Africa occidentale dello Stato Islamico’. Questo, tuttavia, non significa che anche il semplice allineamento ideologico tra il gruppo terroristico più letale del mondo e l’ISIS non costituisca una latente minaccia per l’Africa intera.
La sera di sabato 7 marzo dello scorso anno, il gruppo radicale nigeriano Boko Haram per mezzo di un messaggio audio giurava fedeltà allo Stato Islamico, diventando la formazione jihadista più grande e numerosa ad aver proclamato la sua bayah al califfo Abu Bakr al-Baghadadi.