L’ultima serie di attacchi sferrata dai jihadisti nigeriani di Boko Haram conferma che il gruppo affiliato allo Stato Islamico è pienamente attivo e costituisce ancora una minaccia diretta che dalla Nigeria si estende a Camerun, Ciad, Benin e Niger.
Lo dimostra l’uccisione di quattro persone e il rapimento di tre donne avvenuti martedì scorso nel villaggio di Kautuva nei pressi della città di Chibok, nel nordest della Nigeria, dove nell’aprile 2014 i miliziani islamisti rapirono 276 ragazze.
Ma l’azione che prova chiaramente quanto Boko Haram sia ancora temibile è l’attentato che ha colpito Bosso in Niger, centro rurale nella regione sud-orientale di Diffa al confine con la Nigeria. Si tratta diuno dei territori più poveri al mondo, che dal giugno 2013 ospita un campo profughi, dove sono raccolti oltre 10mila civili in fuga dalle violenze del gruppo terroristico nello Stato del Borno.
E’ in questa stessa zona che lo scorso 3 giugno i jihadisti hanno assaltato una base militare uccidendo trenta soldati nigerini, due nigeriani e causando sessantasette feriti tra le truppe dei due Paesi. Il bilancio finale della sanguinosa offensiva registra anche la morte di 55 estremisti nigeriani.
Uno dei peggiori attacchi subiti dal Niger dopo essersi schierato nel febbraio 2015 nella MNJTF, la forza d’intervento congiunta multinazionale composta dai cinque Paesi minacciati direttamente dal gruppo terroristico.
L’azione, durata tre giorni, è stata ancora più rilevante per il fatto che i miliziani hanno temporaneamente occupato Bosso, obbligando 50mila persone (dati UNHCR) terrorizzate a fuggire dalla città.
Pochi giorno dopo l’attacco, il presidente nigerino Mahamadou Issoufou si è recato a N’Djamena per invocare l’aiuto del Ciad, che ha prontamente risposto con l’invio di circa 2mila unità equipaggiate con armamento pesante e impiegate per rafforzare le difese militari a Bosso e dare la caccia ai miliziani di Boko Haram.
Tutto questo dimostra che i ripetuti annunci del presidente della Nigeria Muhammadu Buhari, secondo cui gli estremisti nigeriani sono stati “tecnicamente” sconfitti, non corrispondono al vero. Nel contempo, a nulla sembra valso l’embargo sulla vendita di armi e il congelamento dei beni riconducibili ai leader di Boko Haram, disposto nel maggio 2014 dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.
Quanto accaduto due settimane fa a Bosso dimostra che il gruppo è ancora in possesso di armi pesanti, che secondo Bakary Sambe, uno specialista di movimenti radicali in Africa occidentale, arriverebbero dal Sudan e dalla Libia, dove il mercato nero delle armi è cresciuto in modo esponenziale dalla caduta del colonnello Muammar Gheddafi nel 2011.
Nondimeno, resta ancora irrisolto l’enigma sulla sorte del leader del gruppo Abubakar Shekau, dato più volte per morto o costretto alla resa. La stessa intelligence nigeriana ignora cosa sia accaduto al terrorista e la notizia diffusa nell’agosto scorso di una sostituzione di Shekaucon lo sconosciuto Mahamat Daoud si è rivelata priva di fondamento.
Poi, la scorsa settimana Le Monde ha rivelato che adesso a capo di Boko Haram ci sarebbe Bana Blachera, un camerunese considerato uno dei responsabili logistici. Blachera si è unito al gruppo fin dai primordi sotto la guida di Mohamed Yusuf, del quale, secondo il quotidiano francese, il nuovo presunto leader non avrebbe né il carisma né la preparazione ideologica.
Non c’è modo di verificare le importanti informazioni fornite nell’articolo firmato dall’africanista Par Seidik Abba, ma è evidente che Bana Blachera o chi veramente ora detiene la leadership di Boko Haram ha rimodulato la strategia offensiva del gruppo sferrando assalti militari in piena regola, dopo che negli ultimi mesi si era decisamente spostato sugli attacchi kamikaze.
La temporanea caduta di Bosso nelle mani degli insorti non indica però che il gruppo stia cercando di occupare e governare un territorio. Secondo Abba, la decisione di occupare militarmente la città sarebbe stata dettata dalla nuova strategia mirata ad accaparrarsi armamenti, carburante, veicoli e generi alimentari.
Mentre ormai appare sempre più evidente che il giuramento di fedeltà proclamato nel marzo 2015 da Boko Haram al califfo al-Baghdadi, non ha sortito effetti tangibili sull’operatività e l’accesso ai finanziamenti, ma è stato solo un brand che si è proiettato nella nuova denominazione del gruppo in Stato islamico in Africa occidentale Provincia (ISWAP), probabilmente utilizzata per accrescere la sinistra fama degli estremisti nigeriani.
Alcuni osservatori, che molto hanno dibattuto sull’importanza dei legami tra Boko Haram e lo Stato islamico, reputano che gli attacchi dei giorni scorsi recenti costituiscono un segnale che i jihadisti nigeriani stanno tornando alla sigla d’origine per re-identificarsi in una dimensione meramente regionale.
Resta di fatto che la svolta decisiva nella lotta agli estremisti nigeriani tanto promessa da Buhari ancora non è arrivata e come conferma un recentissimo report dell’International Crisis Group, la minaccia di Boko Haram, seppur ridimensionata, è ancora latente.
@afrofocus
L’ultima serie di attacchi sferrata dai jihadisti nigeriani di Boko Haram conferma che il gruppo affiliato allo Stato Islamico è pienamente attivo e costituisce ancora una minaccia diretta che dalla Nigeria si estende a Camerun, Ciad, Benin e Niger.
Lo dimostra l’uccisione di quattro persone e il rapimento di tre donne avvenuti martedì scorso nel villaggio di Kautuva nei pressi della città di Chibok, nel nordest della Nigeria, dove nell’aprile 2014 i miliziani islamisti rapirono 276 ragazze.