Secondo il “Folha de São Paulo”, la Colombia sarebbe pronta ad appoggiare un eventuale golpe ordito da Bolsonaro. Il nuovo presidente brasiliano intanto moltiplica le bordate verbali. E con i prestiti in scadenza può usare l’arma economica contro Caracas. Sale l’inquietudine anche a Cuba e in Bolivia
Il primo a lanciare il sasso è stato il Folha de São Paulo il giorno dopo il ballottaggio: una fonte della Cancelleria colombiana avrebbe rivelato al giornale brasiliano che «se il presidente Jair Bolsonaro aiutasse a rovesciare il regime di Maduro, avrebbe l’appoggio della Colombia». Rovesciare militarmente? Sempre secondo l’anonima fonte diplomatica, penserebbe proprio a questo Ivan Duque, il presidente colombiano, o almeno il suo padrino politico, Alvaro Uribe.
D’altra parte proprio la Colombia non ha firmato l’ultima dichiarazione del Gruppo di Lima – una serie di Paesi che hanno preso posizione comune sul Venezuela -, quella in cui si rifiutava qualunque opzione militare, come invece aveva paventato Luis Almagro, il segretario della Oea.
La notizia ha fatto immediatamente il giro delle cancellerie. Bogotà ha smentito categoricamente: il ministro degli Esteri, Carlos Holmes Trujillo, ha dichiarato che «il governo, come si è espresso ripetutamente lo stesso presidente Duque, mantiene una tradizione non bellicosa e cerca, a partire da azioni politiche e diplomatiche regionali e multilaterali, di contribuire a creare le condizioni perché, al più presto, il popolo del Venezuela possa vivere nuovamente in democrazia». Il linguaggio è fumosamente diplomatico ma non nasconde il nervosismo. I rapporti con Caracas sono ai minimi storici e le accuse di ingerenza sono quasi quotidiane.
A complicare la rivelazione del Folha è il riferimento ad altri attori regionali: la stessa fonte diplomatica avrebbe infatti rivelato che «Cile e Argentina sarebbero al corrente della cosa ma che farebbero resistenza a scommettere su questa opzione».
Vero o no, la domanda resta: cosa significherà per Nicolas Maduro l’arrivo al potere di Jair Bolsonaro? Il nuovo uomo forte di Brasilia non ha finora spiegato granché di come imposterà le sue politiche di vicinato ma una serie di riferimenti li ha fatti.
Sempre il giorno dopo il suo trionfo, in un’intervista del network tv Record, gli è stato chiesto come si muoverà con Caracas e lui è rimasto vago: «la questione del Venezuela chiede al Brasile di partecipare, in un modo o nell’altro, a risolvere il problema». Ma ha negato qualsiasi tentazione militare: «Da parte nostra, non esiste alcun intervento. Il Brasile sempre cercherà un’uscita pacifica per risolvere questi problemi».
Il Folha non ha battuto ciglio e ha solo aggiunto di «continuare a verificare». Che sia un’informazione vera, un colpo a salve o una provocazione per misurare la temperatura, la cosa ha fatto comunque sobbalzare più di qualche sedia. Il Folha è, d’altra parte, uno dei media che lo stesso Bolsonaro ha accusato in campagna elettorale di seminare bugie, minacciando di non far più arrivare pubblicità statale sulle sue pagine.
Il Venezuela è una questione bollente. Il neopresidente ha pure sottolineato come una soluzione per il Paese vicino sarebbe stata possibile già da tempo ma che non è stata trovata perché i suoi predecessori del Pt «hanno sempre ammirato Chavez e Maduro».
E’ evidente che l’arrivo al potere di Bolsonaro significherà per Caracas un isolamento e un livello di pressione ancora più forti. A cominciare dalla lunga frontiera, porosa e in grande tensione: da qui sono già passati in 70 mila, in gran parte accampati in condizioni precarie, oggetto di campagne xenofobe e persino di attacchi fisici, come è successo poco più di due mesi fa.
Il Venezuela è circondato da avversari insidiosi. E il fatto che, nella telefonata con Donald Trump, Bolsonaro abbia ventilato anche una maggior cooperazione militare non può che tenere sulle spine i dirigenti chavisti.
In realtà la reazione più sorprendente arriva proprio da loro: Maduro è stato uno dei primi a congratularsi «con il popolo brasiliano per la celebrazione civica del ballottaggio» e ha «esortato il nuovo presidente a riprendere, come Paese vicino, il cammino di relazioni diplomatiche di rispetto, armonia, progresso e integrazione regionale». Una dichiarazione asciutta. Niente dell’usuale armamentario retorico è uscito da Palacio de Miraflores.
Solo un cenno, alla fine del comunicato, sembra un altolà: auspicando «un mondo più giusto e multipolare», Maduro ha fatto appello alla «non ingerenza in questioni interne». Formula di rito – molto cubana e molto cinese -: il presidente venezuelano sembra aspettare le mosse di un vicino dal peso politico ed economico di quel calibro.
Nemmeno quando Bolsonaro ha alzato il tiro con un tweet, due giorni dopo la vittoria, sono usciti commenti dalla diplomazia venezuelana. “I venezuelani muoiono di fame per colpa della tirannia di un governo che va a braccetto con la dittatura cubana”, ha scritto lapidario, “Attraverso Bndes – la Banca Nazionale di Sviluppo Economico e sociale del Brasile – e altre fonti, il Brasile è un grande patrocinatore del socialismo che massacra milioni di persone nel mondo. Questo cambierà».
Il riferimento è ai prestiti in scadenza: il Panam Post ha ricordato che il Venezuela “a gennaio di quest’anno ha pagato, con un ritardo di quattro mesi, un debito di 262,5 milioni di dollari” ma che “non ha saldato la parte di debito che scadeva questo mese”. In più, il Brasile si è esposto per il Paese caribeño anche come garante presso gli organismi internazionali.
Un’occasione troppo ghiotta per un tipo come Bolsonaro.
Trattiene il respiro Caracas e tace il suo alleato più fidato, l’Avana. Anche Cuba ha debiti con Brasilia. Lo ricordava in questi giorni il portale 14ymedio: solo al Bndes deve 17,4 milioni di dollari in rate già scadute e non saldate, su un totale di esposizione che potrebbe arrivare a 110 milioni di dollari.
Bolsonaro nei suoi strali è tornato sulla questione cubana, ricordando anche i 18 mila medici chiamati da Dilma Rousseff, dicendosi pronto a far restare gli 8 mila ora presenti nel Paese solo a tre condizioni: che possano portare i familiari, che convalidino il titolo professionale e che non vada allo Stato cubano il 75% dei salari perché questo «significa finanziare la dittatura».
Grande cautela pure dall’ultimo rimasto tra gli amici di Maduro, Evo Morales. Anche il presidente boliviano si è congratulato per la «partecipazione democratica» del popolo brasiliano e con il nuovo presidente – «che riconosciamo», ha scritto, ricordando i «profondi legami di integrazione» tra i due paesi. Tra questi, ciò che sta molto a cuore a Morales, è il progetto di treno bioceanico di cui sono pronti gli studi di fattibilità e che collegherebbe i due Paesi, sbucando poi in Perù, con possibili capitali cinesi e su cui Bolsonaro dovrà un giorno esprimersi. Ma sono in molti a sussurrare che Bolsonaro si sia già accordato con Sebastian Piñera per far passare il treno in Cile e non attraverso la Bolivia.
I sopravvissuti alla decade progressista osservano e soppesano le mosse del nuovo inquilino di Brasilia, sapendo che lui li detesta. E sembrano aspettarsi un gran trambusto appena l’ex-paracadutista muoverà il tavolo della regione.
@fabiobozzato
Secondo il “Folha de São Paulo”, la Colombia sarebbe pronta ad appoggiare un eventuale golpe ordito da Bolsonaro. Il nuovo presidente brasiliano intanto moltiplica le bordate verbali. E con i prestiti in scadenza può usare l’arma economica contro Caracas. Sale l’inquietudine anche a Cuba e in Bolivia