Il Presidente brasiliano, sotto inchiesta della Corte Suprema e in picchiata nei sondaggi, raddoppia la posta e chiama i suoi sostenitori più radicali a scendere in piazza il prossimo 7 settembre, giorno dell’indipendenza
Il Presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, sembra deciso a riportare il Paese verso il clima in cui si muove con maggior naturalità in vista delle elezioni del 2022: la tensione. Sorto come leader nel pieno di una delle più terribili crisi economiche e politiche della storia brasiliana, l’ex capitano dell’esercito ha recentemente aperto diversi fronti in cui far valere il proprio carisma e il tono provocatorio che lo ha portato alla presidenza della principale potenza del Sudamerica.
Il confronto più caldo in questi giorni è quello che mantiene con la magistratura. Il Tribunale supremo federale (equivalente a una Corte Suprema) ha ordinato a fine luglio l’apertura di una indagine contro il Presidente per la diffusione di fake news sul sistema elettorale brasiliano. Bolsonaro si è scagliato con forza contro il sistema di voto elettronico in vigore dal 1996 – e attraverso il quale lui stesso è stato eletto nel 2018 – che sarebbe “fonte di inevitabili brogli”. Durante la campagna lanciata per il ritorno alle schede elettorali cartacee, Bolsonaro ha diffuso messaggi che secondo il Tsf potrebbero attentare contro la democrazia brasiliana. I sostenitori del Presidente però denunciano che l’indagine è l’ennesimo tassello di una persecuzione ordita dalla giustizia ai danni dell’estrema destra brasiliana. L’ultimo caso contestato è quello dell’ex deputato Roberto Jefferson, arrestato per aver diffuso un video in cui, armi in mano, incitava l’esercito a occupare la sede della Corte Suprema e dell’ambasciata cinese a Brasilia. Jefferson si aggiunge al deputato Daniel Silveira, ex agente di polizia in carcere da febbraio per apologia del terrorismo di Stato.
Il ruolo delle forze armate
Il ruolo delle forze armate in questo contesto politico è anch’esso al centro della polemica. Diversi ufficiali ed ex militari si sono espressi apertamente a favore del Governo di Bolsonaro nei suoi molteplici scontri aperti con le istituzioni dello Stato. Il mese scorso, mentre il congresso discuteva il progetto di legge inviato dal Presidente per l’eliminazione del voto elettronico, un corteo di carri armati ha sfilato di fronte alla spianata dove si trovano Parlamento e magistratura a Brasilia, con Bolsonaro in testa. Una scena che non si vedeva dal 1984, quando il Paese viveva gli ultimi mesi della dittatura militare.
Approfittando del fatto che i riflettori dei media si sono scostati dalla scandalosa campagna sanitaria nazionale contro il Covid-19, il Presidente ha indetto per il prossimo 7 settembre, giorno dell’indipendenza in Brasile, una grande manifestazione nazionale a São Paulo “in difesa della libertà” e del Governo. A nulla sono valsi gli appelli interposti dal governatore João Doria alla giustizia per impedire assembramenti nel suo Stato, durante i quali si temono anche seri disordini. “Per rovesciare l’egemonia della sinistra nel Paese è necessario un carro armato e non un carretto dei gelati”, ha scritto sui social il colonnello Aleksander Lacerda, comandante di sette battaglioni dello Stato di São Paulo e uno dei tanti militari che hanno aderito all’appello lanciato dal Presidente a manifestare il 7 settembre. Il tentativo evidente è di riportare lo scontro a un terreno più consono per il leader della destra brasiliana, quello delle adunate e dei pulpiti da dove ha saputo raccogliere il sostegno dei settori militari, le principali chiese pentecostali e i grandi imprenditori legati all’agrobusiness.
Verso le elezioni del 2022
Quello del 2021 però non è lo stesso Bolsonaro del 2018. Il “Messia” ha già dovuto rinunciare ad alcune delle promesse centrali della campagna che lo hanno portato al Governo. Il suo Ministro dell’Economia, Paulo Guedes, un neoliberista ortodosso, non ha potuto completare nemmeno la metà delle privatizzazioni previste tre anni fa, e si è anche arreso di fronte alla richiesta di maggiori incentivi statali e sussidi al consumo per alleviare la crisi dovuta alla pandemia che ha provocato 580.000 morti. Il mese scorso, lo stesso Bolsonaro ha aperto le porte del Governo all’odiato Centrão, la costellazione di piccoli partiti locali che da decenni barattano il loro appoggio coi Governi di turno a cambio di misure e investimenti da sfoggiare nei dipartimenti in cui si presentano a elezioni. Ciro Nogueira, dirigente simbolo di questo settore osteggiato dal bolsonarismo solo qualche mese fa, è stato posto a capo del gabinetto del Presidente. Rimangiandosi gli insulti verso il Centrão, Bolsonaro si garantisce però l’appoggio del 60% del Parlamento e blinda la sua presidenza di fronte alla pioggia di richieste di impeachment.
Il prossimo traguardo ora è rappresentato dalle elezioni presidenziali dell’ottobre del 2022 e Bolsonaro ha evidentemente lanciato la sua campagna. Si troverà di fronte l’ex Presidente di sinistra Luiz Inácio Lula da Silva, in cima a tutti i sondaggi anche grazie al sostegno dei settori moderati terrorizzati dalla piega presa dal bolsonarismo. Lo spettro del colpo di mano da parte del Governo però aleggia. “Se non saranno pulite e democratiche, non ci saranno elezioni”, ha minacciato poche settimane fa Bolsonaro durante uno dei suoi comizi.
Il Presidente brasiliano, sotto inchiesta della Corte Suprema e in picchiata nei sondaggi, raddoppia la posta e chiama i suoi sostenitori più radicali a scendere in piazza il prossimo 7 settembre, giorno dell’indipendenza