La Corte suprema apre la strada all’arresto dell’ex presidente, tutt’ora in testa nei sondaggi. Ora il suo partito deve decidere cosa fare per non dissolversi alle urne. Il boicottaggio del voto può ferire anche la democrazia brasiliana. E in agguato c’è la destra dura di Bolsonaro
La Corte suprema brasiliana ha negato l’habeas corpus preventivo all’ex-presidente Lula, aprendo la strada per un suo prossimo arresto. La difesa di Lula – condannato in secondo grado a 12 anni e 1 mese per corruzione passiva e riciclaggio nel cosiddetto caso del “Triplex do Guarujá – aveva chiesto che potesse attendere in libertà i prossimi gradi di giudizio. Il plenario della Corte però, dopo 10 ore di dibattito, ha sentenziato per 6 a 5 a sfavore di Lula.
L’habeas corpus è uno strumento spesso utilizzato in Brasile e determina l’inviolabilità delle libertà personali di un imputato. La difesa lo aveva chiesto, a carattere preventivo, per evitare il carcere all’ex presidente. Adesso gli avvocati di Lula avranno circa 5 giorni di tempo per presentare gli ultimi ricorsi. Dopodiché cominceranno le manovre per la sua detenzione.
Dopo il 10 aprile il TRF-4 di Porto Alegre, il tribunale di secondo grado, comunicherà a Sergio Moro la possibilità di emettere un mandato di arresto nei confronti di Lula. Moro è il giudice più in vista della cosiddetta “mani pulite brasiliana” e aveva condannato Lula a 9 anni e 6 mesi in primo grado. La strada del leader del Partido dos Trabalhadores (Partito dei Lavoratori) è in salita sia dal punto di vista giudiziario che politico, nonostante sia ancora in testa ai sondaggi per le elezioni presidenziali di ottobre 2018.
Sul fronte legale, gli avvocati hanno ancora tre remote possibilità: chiedere (e ottenere) un nuovo habeas corpus; ribaltare la condanna in terzo grado; sperare che la Corte, analizzando casi simili a quelli di Lula, riveda la sua posizione generale sul carcere dopo il secondo grado di giudizio. Secondo gli analisti brasiliani, però, si tratta di ipotesi difficilmente percorribili. A Lula resterebbe l’alternativa dei domiciliari ma il suo stato di salute non appare critico.
Sul piano politico-elettorale, il Pt continua a sostenere che Lula è l’unico candidato del partito di sinistra. “La nazione e la comunità internazionale sanno che Lula è stato condannato senza prove, in un processo illegale nel quale dei giudici chiaramente parziali non sono riusciti neppure a determinare la natura del crimine. Il popolo brasiliano ha il diritto di votare Lula, il candidato della speranza. Il Pt difenderà la sua candidatura nelle strade e in tutti i casi, fino alle ultime conseguenze», ha reso noto il partito in una nota diffusa dopo la decisione sfavorevole.
Il Pt è un partito nato dal carisma di Lula ed è difficile che altri membri propongano nomi alternativi finché non sarà lui stesso a fare un passo indietro. La candidatura potrà essere registrata fino al 15 agosto ma dovrà poi essere analizzata dal Tribunale elettorale. Nel partito di sinistra non ci sono nomi in grado di raccogliere lo stesso numero di voti di Lula (fino al 37% al primo turno) ma si fanno largo tre correnti di pensiero quasi incompatibili.
La prima sostiene una semplice sostituzione di Lula con un altro candidato, sia esso Fernando Haddad, già Ministro ed ex sindaco di San Paolo, o Jacques Wagner, fedelissimo del petismo. È la soluzione più naturale, ma rischia di creare un danno d’immagine enorme al partito a causa del tracollo alle urne.
La seconda vorrebbe puntare tutto sui deputati. Le camere sono state fondamentali nell’impeachment contro Dilma o nel respingere le accuse contro Temer. Il Pt non vuole scomparire. La decisione più equilibrata sarebbe quella di ripartire da una base forte al Congresso, lavorando per il 2022.
La terza corrente propone lo scenario più radicale: il boicottaggio. Il Pt potrebbe boicottare ufficialmente l’appuntamento elettorale. Sarebbe un colpo gravissimo per la democrazia del Paese, considerando che si tratta di una forza politica che ha governato dal 2003 al 2016. Ma potrebbe farlo anche indirettamente, invitando i propri elettorali ad annullare il voto. Un azzardo che potrebbe determinare la fine politica del partito. Gli elettori, però, potrebbero decidere di non seguire Lula fino alla morte, orientandosi su altri candidati.
Secondo l’ultimo sondaggio Datafolha, Bolsonaro, con il 18% al primo turno, sarebbe il più votato con l’assenza di Lula. È però difficile che la retorica del candidato di estrema destra possa beneficiarsi notevolmente del carcere di Lula, poiché Bolsonaro ha bisogno di un antagonismo di sinistra per polarizzare l’elettorato. L’ambientalista Marina Silva e Ciro Gomes, già ministro con Lula, potrebbero invece accogliere la parte moderata dell’elettorato di sinistra ma il loro peso resta relativo al primo turno. C’è infine la possibilità che Joaquim Barbosa, ex presidente della Corte Suprema, possa candidarsi catalizzando le preferenze progressiste sul Partito socialista brasiliano.
L’arresto di Lula fornirà ulteriori indicazioni anche sulla posizione del Pt. Se si costituirà pacificamente, come auspicato dalla polizia, il partito dimostrerà di riconoscere la decisione giudiziaria e di lavorare per il dialogo. Se invece Lula marcerà insieme ai manifestanti per costituirsi, potrebbero esserci scontri e una chiara volontà di mettere in discussione il sistema attuale che lo ha condannato.
@AlfredoSpalla
La Corte suprema apre la strada all’arresto dell’ex presidente, tutt’ora in testa nei sondaggi. Ora il suo partito deve decidere cosa fare per non dissolversi alle urne. Il boicottaggio del voto può ferire anche la democrazia brasiliana. E in agguato c’è la destra dura di Bolsonaro