Ogni 9 minuti un brasiliano viene ucciso. Si muore di più che nel conflitto siriano, mentre ogni giorno 125 persone vengono stuprate. I poliziotti muoiono 3 volte di più fuori dall’orario di servizio che in servizio, ma la il tasso di decessi delle forze dell’ordine è altissima. Il Paese, per quanto popoloso, affronta una guerra civile silenziosa, ma la violenza non sembra essere fra le priorità di governo.
Spesa pubblica, impeachment o alleanze di governo. Ecco di cosa si discute, oggigiorno, in Brasile. Il Paese, però, è in guerra e nessuno dice niente.
Il termine “guerra” può sembrare eccessivo, ma non lo è se si prendono in esame una serie di recenti statistiche diffuse dall’ONG Fórum Brasileiro de Segurança Pública, specializzata proprio in sicurezza pubblica. In Brasile, ad esempio, si muore di più che in Siria. Dal marzo 2011 a Novembre 2015, nel corso del conflitto siriano sono morte 256.124 persone (dati FBSP e UNHCR). In Brasile, da gennaio 2011 a dicembre 2015, sono stati uccisi intenzionalmente 279.592 cittadini. È come immaginare una città delle dimensioni di Venezia sterminata in 5 anni. Il paragone con la Siria è ovviamente pretestuoso, perché non è proporzionale e perché sulle cifre del conflitto siriano non si ha continuità e unanimità, ma serve per inquadrare il contesto. Nel 2015, in Brasile 58.492 persone sono state assassinate o sono morte in seguito a rapine a mano armata o interventi dela polizia. Ciò significa che nel paese sudamericano muore una persona ogni 9 minuti. Per quanto possa apparire strano, si tratta di un dato positivo dato che nel 2014 furono 59.730. Una riduzione del 2% in un anno.
Si ammazza, si muore o si subiscono violenze sessuali. Nel 2015, gli stupri registrati sono stati 45.460. Una contrazione del 10% rispetto all’anno precedente, ma che non lenisce le statistiche: 125 persone vengono stuprate ogni giorno in Brasile. Ci sono poi altri indici significativi, come il furto delle automobili (un milione in due anni) e il sequestro di armi (110.327 nel 2015). Sono numeri di una società alla deriva, senza un piano strategico di sicurezza pubblica. O meglio: un piano esiste, ma non sembra essere efficiente. La violenza non viene trattata come un problema politico e tantomeno è in cima alle agende dei governi statali o di quello federale.
Cosa fa lo Stato per ridurre il numero di morti? La risposta è difficile e politicamente scorretta, ma non si può negare che lo Stato brasiliano sia fra i responsabili di questa guerra civile silenziosa. La cittadinanza si è anestetizzata all’argomento, ma i numeri rivelano quanto sia controversa la situazione delle forze dell’ordine. Fra il 2009 e il 2015, 17.688 persone sono state uccise dalla polizia. Le forze dell’ordine brasiliane proporzionalmente uccidono più che in Honduras e Sudafrica, paesi considerati violenti e con problemi sociali simili. Solo nel 2015, ci sono state 3.345 vittime di azioni della polizia. Esiste però anche l’altro lato della medaglie, perché le forze dell’ordine sono vittime della criminalità organizzata. Il 64% dei brasiliani ritiene che «i poliziotti siano perseguitati dalla criminalità». Negli ultimi 5 anni analizzati, i poliziotti morti sono 2572. Un numero quasi senza paragoni in altri stati democratici. Sono morti più poliziotti in Brasile in un anno che in Inghilterra in 98 anni. Il rapporto del Fórum pone l’accento su una questione allarmante: i poliziotti brasiliani muoiono 3 volte di più fuori dall’orario di servizio che mentre sono al lavoro. Una percentuale del 113 superiore rispetto alle statistiche della polizia statunitense. Si muore in divisa o nel giorno di riposo, è indifferente. Questi numeri sono particolarmente significativi, perché confermano due verità sottovalutate da gran parte della società:
1 – Una parte della polizia brasiliana è collusa con il crimine organizzato, forma milizie armate parallele e non provvede alla sicurezza pubblica. Lo dimostra la frequenza con cui avvengono vendette trasversali fuori dall’orario di lavoro.
2 – Un’altra parte della polizia brasiliana è in pericolo, effettivamente perseguitata dal crimine organizzato e non è nelle condizioni di svolgere adeguatamente il proprio compito.
Il 70% dei cittadini ritiene che le forze dell’ordine «esagerino nell’uso della violenza», ed è un dato che dovrebbe preoccupare i governi di ogni livello. «Viviamo in un ciclo senza fine in cui i poliziotti sono perseguitati tutti i giorni dai criminali e, in risposta, fanno un uso eccessivo e letale della violenza senza che esistano interrogazioni politiche o istituzionali», si legge nel rapporto diffuso dalla ONG di San Paolo. L’identikit delle vittime è purtroppo ricorrente. I morti sono sempre i giovani neri delle periferie. Il 54% delle morti violenti avviene fra giovani di 15-24 anni, di cui il 73% è di colore o pardo. Questi numeri spaventosi non trovano grande spazio nei media mainstream locali, ma il 76% della popolazione brasiliana dichiara di avere paura di morire assassinato. Il 76%.
Questa è la definizione di “guerra” fornita dalla Treccani: «Conflitto aperto e dichiarato fra due o più stati, o in genere fra gruppi organizzati, etnici, sociali, religiosi, nella sua forma estrema e cruenta, quando cioè si sia fatto ricorso alle armi». È davvero esagerata per il contesto brasiliano?
Ogni 9 minuti un brasiliano viene ucciso. Si muore di più che nel conflitto siriano, mentre ogni giorno 125 persone vengono stuprate. I poliziotti muoiono 3 volte di più fuori dall’orario di servizio che in servizio, ma la il tasso di decessi delle forze dell’ordine è altissima. Il Paese, per quanto popoloso, affronta una guerra civile silenziosa, ma la violenza non sembra essere fra le priorità di governo.