Il candidato di estrema destra sfiora la vittoria al primo turno con il 46% dei voti davanti ad Haddad, fermo al 29. Un terremoto politico dopo una corsa segnata dall’odio e dalle fake news. Il prescelto di Lula chiede unità ai democratici, ma potrebbe non bastare al ballottaggio del 28 ottobre
I venti di autoritarismo spirano forti sulle coste del Brasile, spingendo Jair Bolsonaro a un risultato solido già al primo turno. L’ex militare – che nel corso dello spoglio accarezza l’idea di vincere subito – ottiene il 46% delle preferenze, catalizzando su se stesso tutta la avversione di una parte dell’elettorato contro il Partidos dos Trabalhdores, al governo dal 2002 al 2016. Fernando Haddad, indicato da Lula come l’uomo adeguato per la corsa alla presidenza, non va oltre il 29% ma assicura la presenza del Pt al ballottaggio.
Un risultato che solo poche settimane fa sembrava lontanissimo. Ciro Gomes, il progressista del Pdt, non centra la rimonta delle ultime ore, fermandosi al 12,5%. Crolla anche la socialdemocrazia, rappresentata dall’ex governatore di San Paolo Geraldo Alckmin, che si attesta poco sotto al 5%. Sorprende, fra gli altri candidati, la debacle dell’ambientalista Marina Silva, che scivola all’1% con poco più di un milioni di voti.
Nel post-elezioni, Bolsonaro ha dimostrato di voler mantenere il suo stile, farcito di insinuazioni sui brogli, svicolando il confronto diretto con il pubblico. Dalla sua pagina Facebook ha annunciato che “chiederà soluzioni al Tribunale Elettorale”, sostenendo che “se avessimo fiducia nel sistema del voto elettronico, già si saprebbe il nome del presidente della Repubblica”. A nulla pare siano servite le rassicurazioni di Rosa Weber, presidente del tribunale elettorale, che ha garantito uno svolgimento regolare delle votazioni e degli osservatori dell’Organizzazione degli Stati Americani (Osa), giunti in Brasile proprio per arginare le accuse di brogli. «Non sarà facile al ballottaggio, loro hanno miliardi da spendere. Hanno mandato in bancarotta imprese e banche. I soldi non gli mancano», ha accusato Bolsonaro riferendosi agli avversari del Pt. Haddad è stato invece più conciliante nei toni, prevedendo una sfida in cui sarà possibile «discutere con la forza degli argomenti e non delle armi».
Il candidato di sinistra ha subito chiesto unità ai democratici, annunciando di aver conversato con Gomes, Marina e Boulos, tre candidati che insieme hanno ottenuto circa il 14% dei voti validi. Gomes, pur rispondendo diplomaticamente, ha lasciato intuire che sosterrà Haddad al ballottaggio. Marina dovrebbe fare altrettanto, ma ha posticipato la decisione di qualche ora. Il centro-destra di Geraldo Alckmin non si è sbilanciato. In un partito con parecchie divisioni interne, ci sarà da prendere una decisione importante. Da una parte c’è la possibilità di sostenere i nemici del Pt, contro i quali combattono dal 1994, alternando vittorie (1994, 1998) e sconfitte (2002, 2006, 2010 e 2014). Dall’altra, c’è un candidato che, seppur di destra e con una visione liberale in campo economico, richiama i valori antidemocratici del regime militare.
Ma se anche Haddad riuscisse nell’impresa di portare al Pt tutti i voti dei moderati – Gomes, Silva e Alckmin – il distacco sarebbe comunque consistente. Ci sono, infatti, piccoli partiti come Novo di Joao Amoedo (2,52%), Cabo Daciolo (1,21%) e una parte della coalizione di Alckmin che sono attratti dal carro di Bolsonaro.
È stata un’elezione segnata dal trionfo dell’antipetismo, dalla rabbia verso la sinistra giudicata corrotta. Janaína Paschoal, una delle relatrici dell’impeachment contro Dilma Rousseff, è stata premiata come la deputata statale più votata della storia. Il figlio di Bolsonaro è stato invece il deputato federale più votato. A prescindere da una possibile vittoria al secondo turno, il Psl di Bolsonaro è già riuscito a piazzare gli amici ex militari al senato, alla camera e nelle assemblee statali.
Per comprendere la giravolta nell’ultima legislatura della politica brasiliana, è sufficiente fare un paragone fra i voti presi nel 2014 da Dilma Rousseff, Aecio Neves e Marina, tutti candidati alla presidenza, e quelli ottenuti nel 2018. Dilma, candidata al senato, quest’anno ha ottenuto solo 2,7 milioni di preferenze. Neves, colpito da forti accuse di corruzione, si è candidato come deputato federale per fuggire alla magistratura ordinaria, ricevendo la fiducia di solo 106.000 elettori. Marina ha convinto solo 1 milione di brasiliani. In totale, hanno ottenuto circa 3,8 milioni di voti. Quattro anni fa, al primo turno, furono 99 milioni. Le cariche erano diverse, ma è un parametro per capire quanto la politica brasiliana – storicamente lenta e statica nell’assimilare le novità – sia invece divenuta liquida, permeabile alla post-verità dei social e imprevedibile a tal punto da portare a un passo dalla vittoria un candidato considerato fascista dalla quasi totalità degli osservatori internazionali.
@AlfredoSpalla
Il candidato di estrema destra sfiora la vittoria al primo turno con il 46% dei voti davanti ad Haddad, fermo al 29. Un terremoto politico dopo una corsa segnata dall’odio e dalle fake news. Il prescelto di Lula chiede unità ai democratici, ma potrebbe non bastare al ballottaggio del 28 ottobre