Sparano con facilità e vengono ammazzati con facilità. A Rio vengono uccisi più poliziotti che nelle cinque città più pericolose del mondo messe insieme. E morire è diventato una colpa, che genera sospetti infamanti. Una situazione insostenibile per la frangia onesta della polizia
Continua la nostra inchiesta sulle guerre quotidiane nelle favelas.
Il Mortometro segna 481. Sì, il Mortometro: uno strumento che tiene il conto del numero delle forze dell’ordine uccise in Brasile. L’ha inventato l’associazione OPB (Ordem Policiais do Brasil, Ordine dei Poliziotti del Brasile), che riunisce i professionisti del settore e cerca di sensibilizzare sul tema delle vittime della violenza armata. Per l’opinione pubblica brasiliana, ormai, è diventato comune abituarsi ai morti ammazzati. Su eastwest.eu abbiamo spesso raccontato le vicende delle vittime dello Stato – fossero quelle del Carandiru che gridano giustizia o quelle innocenti delle favelas, spazzate via dalla corruzione e dal narcotraffico – ma in questa nuova inchiesta abbiamo deciso di approfondire la tragedia delle morti in divisa. Una strage quotidiana che taglia trasversalmente il Brasile.
Secondo l’OPB, nel 2016, sono morti 493 agenti di polizia: 1,35 al giorno. Circa un poliziotto ogni 17 ore. Le morti sono avvenute in servizio o come conseguenza della professione svolta. «Non è una leggenda che quando non siamo in servizio nascondiamo la divisa e tutti i segni di riconoscimento. In città è una costante caccia all’uomo. Non siamo tutelati dallo Stato. Abbiamo pochi mezzi, turni massacranti e stipendi non adeguati. È sempre più difficile lavorare in certe condizioni, soprattutto se sei un poliziotto onesto», ci racconta un agente della Policia Militar di Rio de Janeiro che solitamente pattuglia l’area di Catumbi, non lontano dal celebre Sambodromo. Identificarsi non sarebbe una scelta prudente. Rio, che al momento vive una grave crisi di sicurezza pubblica, guida le statistiche del Mortometro con il 26,4% dei caduti. Segue lo Stato di San Paolo (8,9%) e il Parà (8,1%). Il Brasile, però, non è solo Rio e San Paolo e verrebbe da chiedersi come mai la polizia brasiliana viva questa condizione diffusa di pericolo. Il problema è sistemico. Gli stipendi sono molto bassi, la corruzione è diffusa (ma non totale) e molti agenti scelgono di creare milizie parallele al crimine.
Il risultato, oltre a una collusione che mina la sicurezza della polizia stessa, è una lotta alla violenza armata senza gli strumenti adeguati. La formazione degli agenti è un altro punto che sarebbe necessario migliorare. L’agenzia Lupa di fact checking ha recentemente pubblicato una statistica secondo cui a Rio de Janeiro muoiono più poliziotti che in tutte le 5 città più violente al Mondo. La sicurezza di una città è generalmente calcolata dal numero di morti per 100.000 abitanti. Collocando, però, le morti dei poliziotti come primo criterio, Rio de Janeiro “supera” i 100 morti complessivi di Caracas, Acapulco, San Pedro Sula, Distrito Central Honduras e Victoria, indicate come le 5 città più violente al Mondo dall’Ong messicana Seguridad, Justicia y Paz. Nel 2016, a Rio ne sono stati uccisi 146.
La polizia brasiliana spara con facilità, ma viene uccisa con altrettanta facilità. Il report 2016 di FBSP (Forum Brasileiro Segurança Publica), una delle associazioni più credibili in tema di diritti umani e sicurezza, informa che dal 2009 al 2015 sono stati uccisi 2543 agenti di polizia: 721 mentre si trovavano in servizi, 1822 quando non indossavano la divisa. Nel 2015, 91 sono caduti nel corso di operazioni, 267 fuori dall’orario di lavoro. È tre volte più probabile morire fuori servizio che in servizio. Una statistica che non ha bisogno di grandi interpretazioni: se sono collusi, i poliziotti pagano gli sgarri; se non lo sono, vengono perseguitati anche fuori dall’orario di lavoro. Il rischio, però, è quello di generalizzare sulla corruzione. «Quante volte le persone mi chiedono: “ma non è che tuo figlio era coinvolto?”, “non è che se la faceva con qualche criminale?”», ha raccontato alla Bbc Brasil Francilene Pinheiro, che ha perso il figlio Thiago tre giorni prima del Natale 2006. Volevano rubargli l’auto ma hanno visto la pistola in dotazione. Un colpo alle spalle e nessun furto. Da quel momento, la madre ha fondato insieme a Zoraide Vidal l’associazione Amapol, che si occupa di riunire le madri dei poliziotti uccisi. Per loro stava diventando difficile poter condividere il dolore con altre vittime della violenza armata. «Provo lo stesso vostro dolore. Non esiste differenza fra favela e polizia», ha dovuto spiegare Zoraide a un evento prima che l’aggredissero solo perché era madre di una agente. La semplice morte è diventata una colpa, un sintomo di qualcosa da nascondere. Si dimentica, però, che la violenza non fa sconti a nessuno: cittadini, trafficanti, poliziotti onesti o corrotti. La violenza armata tira dritto per la sua strada, dalle favelas ai banchi del parlamento.
Questo articolo è la seconda puntata di un’inchiesta in quattro parti di Alfredo Spalla dedicata alle guerre che si combattono nelle favelas brasiliane. Per leggere la prima parte clicca qui.
@AlfredoSpalla
Sparano con facilità e vengono ammazzati con facilità. A Rio vengono uccisi più poliziotti che nelle cinque città più pericolose del mondo messe insieme. E morire è diventato una colpa, che genera sospetti infamanti. Una situazione insostenibile per la frangia onesta della polizia