La consigliera municipale lottava per i diritti umani nelle favelas. «Dava fastidio a piccoli e grandi mafie», dice la madre. E sia alle milizie che alla polizia militare, di cui denunciava gli abusi nella città affidata all’esercito. Scossa ora come tutto il Paese da proteste popolari
Rio de Janeiro, Brasilia, San Paolo, Maceiò, Manaus, Salvador, Cuiabà: migliaia di brasiliani sono scesi in piazza, nelle ultime ore, per protestare contro la morte di Marielle Franco, consigliera municipale a Rio, e di Anderson Gomes, il suo autista. Marielle (38) e Anderson (39) sono stati uccisi nel centro di Rio de Janeiro, mentre tornavano da un evento di sensibilizzazione sul razzismo contro le donne di colore.
Tutto è successo nel quartiere centrale di Estàcio: una macchina si è affiancata a quella della consigliera, colpendola con 4 tiri alla testa, mentre l’autista è stato ucciso con 3 colpi alla schiena. Entrambi sono morti sul colpo, mentre una assistente di Franco è sopravvissuta senza gravi ferite all’attentato, nonostante fosse seduta accanto alla vittima.
Marielle Franco racchiudeva in sé alcune caratteristiche che in Brasile sono oggetto di discriminazione: era nera (o negra, come preferisce essere chiamato il movimento brasiliano); era cresciuta nel complesso di favelas della Maré ed era bisessuale, oltreché un’attivista in prima linea per il rispetto dei diritti umani. Le sue battaglie, portate avanti con il partito di sinistra Psol (Partido Socialismo e Liberdade), le erano valse 46.000 voti alle ultime elezioni municipali.
L’omicidio, che senza troppi dubbi è subito stato catalogato come un’esecuzione, solleva quesiti sulla libertà di pensiero e di azione nella comunità fluminense. «Dava fastidio a piccoli e grandi mafie», ha detto la madre di Marielle Franco senza però specificare chi possano essere i mandanti del duplice omicidio.
Alcuni esperti hanno riconosciuto nelle modalità d’azione un metodo tipico delle milizie della regione. Questi gruppi paramilitari sono piuttosto diffusi in Brasile e sono composti, perlopiù, da membri delle forze armate, sia in servizio che in pensione. Uccidono senza troppi scrupoli nelle zone più disagiate della città e coltivano interessi nell’illegalità. Si va dal traffico di armi in favore dei narcos, al traffico di droga, fino alle richieste di pizzo ai commercianti delle favelas.
Non esistono prove che al momento facciano pensare al coinvolgimento di poliziotti nell’omicidio, ma il caso ricorda l’imboscata del 2011 contro la giudice Patrícia Acioli, uccisa con 21 colpi. Acioli indagava sugli abusi delle forze dell’ordine.
“Mari”, come la chiamavano i conoscenti, non era da meno. Sui social denunciava il mancato rispetto dei diritti umani nelle favelas: «Quello che sta accadendo ad Acari è assurdo! E succede sempre! Il 41° battaglione della Pm (Polizia militare, ndr) è noto come il battaglione della morte. Basta con i maltrattamenti alla popolazione! Basta con le morti dei nostri giovani», aveva scritto il 10 marzo sui social.
Il battaglione a cui faceva riferimento la consigliera progressista è quello che più uccide in tutta Rio. Dal 2011, un anno dopo la sua creazione, ha ucciso 567 persone, come rivela un report diffuso dalla Folha de São Paulo. Agisce fra gli agglomerati di favelas Pedreira e Chapadão, a circa 30 km dal centro della città, e il 41% degli omicidi avvenuti nel mese di gennaio in quella zona sono riconducibili al battaglione della polizia militare.
È sufficiente un post di denuncia per determinare la morte di una politica? Non è possibile saperlo. Si cercano prove di colpevolezza su chi possa aver sparato, ma una cosa sembra accomunare tutti i testimoni: Marielle non aveva ricevuto minacce. I suoi assassini, però, hanno studiato i suoi movimenti e dopo l’hanno seguita per 4km prima di ucciderla, un’informazione che rafforza la tesi di un’azione ampiamente premeditata. Marielle aveva fatto molto di più che un post contro le milizie.
Nel 2008, aveva aiutato il deputato Marcelo Freixo in una commissione parlamentare d’inchiesta contro le milizie, al termine della quale furono individuati 226 responsabili. Freixo – che alle ultime elezioni municipali è andato al secondo turno per diventare sindaco di Rio, perdendo poi contro l’evangelico Crivella – vive sotto scorta a causa di quelle indagini, ma poco è stato fatto nonostante le denunce. È passato un mese dall’intervento federale delle forze armate nello stato di Rio , come decretato da Michel Temer, ma la popolazione dimostra di non poterne già più dell’occupazione militare. E il caso della consigliera getta ulteriori dubbi sull’efficacia dell’azione militare nel contesto carioca. Il piano di Temer ha subito dimostrato la sua debolezza, ricevendo ulteriori critiche.
Chi ucciso, quindi, Marielle Franco e Anderson Gomes? Sono state le milizie che l’hanno voluta mettere a tacere? È stato qualcuno che potrebbe beneficiarsi del clamore pubblico per liberarsi dell’occupazione militare di Rio? Oppure è stato, invece, qualcuno che vuole mantenere l’intervento federale per favorire le milizie anziché i narco-trafficanti?
Ci sono molte teorie e poche prove, ma un timore avanza nelle ultime ore: Marielle potrebbe aver pagato per colpe non sue. Un avvertimento per tutti coloro che denunciano o indagano. “La busta era per lei, ma la lettera era destinata ad altri”, come si dice cinicamente in questi casi.
@AlfredoSpalla
La consigliera municipale lottava per i diritti umani nelle favelas. «Dava fastidio a piccoli e grandi mafie», dice la madre. E sia alle milizie che alla polizia militare, di cui denunciava gli abusi nella città affidata all’esercito. Scossa ora come tutto il Paese da proteste popolari