In soli tre anni, Alternative für Deutschland è passata da zero a milioni di voti. Nata come piccola formazione anti-euro, è ora diventata il partito anti-immigrazione per eccellenza, confermandosi come l’espressione tedesca della nuova destra populista europea.
Ieri, AfD ha sfondato anche nelle elezioni locali di Berlino, raccogliendo un impressionante 14,2% nella tollerante e multiculturale capitale tedesca.
Con un ex colonnello della Bundeswehr come candidato sindaco, Georg Pazderski, il partito ha impostato la propria campagna sui temi della sicurezza e dell’opposizione alle politiche di accoglienza di rifugiati e migranti. Nell’ultimo anno, sono arrivati a Berlino circa 80 mila richiedenti asilo, di cui più della metà è ancora provvisoriamente dislocata nelle varie strutture cittadine.
Sarebbe però un errore leggere il successo di AfD sulla base dei soli risvolti pratici della recente immigrazione. A rivelarsi sempre più importante è la capacità di incidere sull’immaginario sociale, soprattutto nei settori del paese più disorientati e in cerca di identità.
Due settimane fa, i populisti hanno raccolto il 20.8% dei voti nel Meclemburgo-Pomerania, affermandosi come secondo partito della regione, dietro ai socialdemocratici della SPD e davanti alla CDU della Cancelliera Merkel. Il Meclemburgo-Pomerania è il land con meno rifugiati e immigrati in tutta la Germania (meno del 4% della popolazione).
Un dato che dimostra come l’esasperata critica contro l’immigrazione di AfD non si limiti alle dinamiche del territorio, ma faccia del rifiuto del multiculturalismo un tema ideologico. Un’ideologia che nasce da una retorica nazionalista di riscossa identitaria e che è stata capace di attrarre gli strati popolari e il ceto medio insoddisfatto dai cristiano-democratici, oltre a coinvolgere una parte di quanti erano soliti astenersi dal voto.
Gli inizi di AfD: professori contro l’euro, “né di destra, né di sinistra”
AfD nasce nel febbraio 2013, come partitino di protesta contro le politiche di salvataggio nell’Eurozona. Il primo nucleo di Alternative für Deutschland è formato da accademici, politici locali, associazioni e gruppi delle aree cristiano-democratica, liberal-conservatrice e nazionalista. Nell’aprile 2013, Bernd Lucke, co-fondatore del partito e professore di economia all’Università di Amburgo, dichiara ancora che l’AfD non voglia essere “né di destra, né di sinistra”. Le cose, però, cambieranno molto velocemente.
Nelle elezioni nazionali del settembre 2013, Alternative für Deutschland sfiora l’entrata nel Bundestag tedesco, fermandosi a una manciata di voti dallo sbarramento del 5%. Otto mesi dopo, invece, il partito raggiunge il 7,1% nelle elezioni europee del 2014, mandando all’Europarlamento 7 rappresentanti, tra cui lo stesso Lucke. Seguono poi i primi successi regionali in Sassonia (9,7%), Turingia (10,6%) e Brandeburgo (12,2%). Proprio i risultati nei tre stati federali dell’ex DDR incoraggiano sempre di più la corrente nazional-conservatrice di AfD, che si dimostra capace di entrare in sintonia con lo scontento e l’ostalgia patriottica della Germania orientale (dove le zone agricole, ad esempio, si sentono particolarmente penalizzate dalle sanzioni economiche contro la Russia).
L’attacco all’immigrazione e la scalata dei nazionalisti
Nell’ottobre del 2014, a Dresda, nasce il nuovo movimento xenofobo Pegida (i cosiddetti Patrioti Europei contro l’Islamizzazione dell’Occidente). L’incontro tra Pegida e AfD è destinato a una continua dialettica di sovrapposizioni e distanziamenti. Una cosa, però, è certa: almeno nel primo anno, le due realtà si nutrono a vicenda.
A partire dai primi mesi del 2015, la Germania accoglie un numero sempre crescente di migranti e rifugiati, in fuga dal Medio Oriente tramite la via dei Balcani. Pegida può così andare a caccia di consensi sfruttando l’attualità del tema dell’immigrazione, attraendo definitivamente verso l’estrema destra anche l’identità ancora acerba di AfD.
Il rifiuto delle politiche di asilo era presente fin dall’inizio nel programma del partito, ma, ora, va a sostituire i temi prettamente economici. Le due anime di AfD, quella più liberale e quella nazionalista, arrivano così a un inevitabile scontro. Nel convegno del partito di Essen, nel luglio 2015, Frauke Petry sfida Bernd Lucke per il ruolo di portavoce. A vincere è la telegenica imprenditrice quarantenne, con oltre il 60% dei voti. Il Professor Lucke lascia il partito, denunciando una deriva apertamente estremista e anti-atlantista di Alternative für Deutschland.
La crisi dei migranti, intanto, raggiunge livelli eccezionali. Il 31 agosto 2015, Angela Merkel pronuncia il suo celebre “Wir schaffen das – Ce la facciamo”, aprendo le porte a centinaia di migliaia di rifugiati. AfD si posiziona radicalmente contro la Willkommenspolitik della Cancelliera, autoproclamandosi il solo partito di opposizione e facendo della critica delle politiche di accoglienza la propria missione quotidiana.
Nel gennaio 2016, dopo i gravi fatti della notte di San Silvestro a Colonia, AfD e altre forze della destra populista attaccano frontalmente il Governo, sdoganando una retorica apertamente xenofoba. A febbraio, l’europarlamentare AfD Beatrix von Storch, nipote di un ministro del Terzo Reich, dichiara che la polizia di frontiera debba essere autorizzata a sparare su chiunque cerchi di attraversare illegalmente il confine.
Il manifesto anti-islamico e il vocabolario post-nazista
Con centinaia di migliaia di nuovi arrivati dal Medio Oriente, e in un paese con circa tre milioni di abitanti di origine turca, la xenofobia di AfD è indissolubilmente intrecciata con il rifiuto radicale dell’Islam e dell’integrazione di comunità islamiche in Germania.
Il 13 marzo 2016 Alternative für Deutschland conferma la propria spinta nelle elezioni regionali del Baden-Württemberg (15,1%), nella Renania-Palatinato (12,6%) e nella Sassonia-Anhalt, dove diventa il secondo partito del land, raccogliendo il 24,3% dei voti.
Sull’onda di questi nuovo successi, i populisti si riuniscono in congresso il 1 maggio 2016 e creano il proprio manifesto programmatico. A pagina 49 viene inserito quello che è destinato a diventare uno slogan fondamentale: “L’Islam non fa parte della Germania”. Una frase che contraddice appositamente una celebre e diametralmente opposta dichiarazione della Cancelliera Merkel.
Lo scontro con l’Islam, inteso in maniera assolutamente generale e senza alcuna particolare eterogeneità, diventa ufficialmente parte dell’ideologia portante del partito.
Un conflitto, quello con la religione islamica, che sembra essere necessario anche alla costruzione della nuova retorica nazionalista tedesca, in nome della quale AfD attinge costantemente dal linguaggio della destra radicale. Le dichiarazioni più moderate e attente dei dirigenti si alternano a quelle apertamente e volgarmente razziste di altri membri del partito. A questo si aggiunge la diffusa appropriazione da parte di AfD di un vocabolario talora post-nazista, che viene riproposto in un tentativo di rebranding mai riuscito prima nel paese. Una scelta strategica di comunicazione, che sembra consapevolmente diretta a far riemergere gli aspetti più rimossi dell’immaginario collettivo tedesco, cercando di legittimarli e riaffermarli sullo scacchiere politico.
@lorenzomonfreg
D’ora in poi, proprio l’uso delle parole sarà fondamentale per capire intenzioni e azioni concrete di un partito ancora destinato all’opposizione su scala regionale e nazionale, ma non per questo meno pronto a stravolgere l’agenda politica tedesca.
Dopo le elezioni berlinesi di ieri, Alternative für Deutschland si trova ora nei parlamenti di 10 stati federali su 16. Fra un anno esatto, nel settembre 2017, ci saranno le elezioni politiche nazionali. I sondaggi dicono che se si votasse per il Bundestag domani mattina, AfD raccoglierebbe circa il 15% dei voti.
@lorenzomonfreg
In soli tre anni, Alternative für Deutschland è passata da zero a milioni di voti. Nata come piccola formazione anti-euro, è ora diventata il partito anti-immigrazione per eccellenza, confermandosi come l’espressione tedesca della nuova destra populista europea.
Ieri, AfD ha sfondato anche nelle elezioni locali di Berlino, raccogliendo un impressionante 14,2% nella tollerante e multiculturale capitale tedesca.