Yanis Varoufakis si è spostato agevolmente da professore radicale, a ministro delle finanze non riuscito, a celebrità internazionale. Il suo ultimo trionfo è stato persuadere Noam Chomsky a unirsi a DiEM25, il movimento politico internazionale che sta cercando di lanciare. In America, questo lo mette in odore di superstar. In Grecia, resta principalmente il teorico della catastrofe economica greca, che parla in termini tecnici delle specifiche degli interminabili negoziati del paese con la ‘troika’: Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale. Ma vista l’imminenza del referendum in Gran Bretagna, vorrei concentrarmi su un’altra versione di Yanis Varoufakis: la versione inglese.
Uno dei motivi principali del gran successo di Varoufakis è che la sua padronanza della lingua inglese è magnifica. Parla con un accento greco, che rende la sua retorica ancora più impressionante, infatti ha chiaramente imparato l’inglese piuttosto che averlo parlato sin da bambino. Deve questa padronanza della lingua al fatto che i suoi studi universitari sono stati in Inghilterra: corsi di laurea, masters e dottorato presso le università di Essex e di Birmingham dal 1978 al 1987, con incarichi di insegnamento presso le università di Cambridge e East Anglia. Si è poi trasferito in un altro paese di lingua inglese, l’Australia, per insegnare economia per poi tornare in Grecia e farsi coinvolgere dallla politica del suo paese; ma il suo primo convolgimento politico è stato nella politica degli studenti universitari nell’Inghilterra degli anni 1970 e 1980: lo stesso campo di allenamento che ha formato molti dell’attuale élite politica britannica.
Le sue prime avventure politiche erano su questioni come l’Irlanda del Nord, il Sud Africa e la Palestina: l’ordine del giorno radicale standard per gli studenti in quel periodo. Si è anche unito all’Associazione comunista dell’università dell’Essex. Quindi, il Varoufakis che compare oggi sugli schermi televisivi inglesi discutendo con i suoi contemporanei, appare non come un commentatore straniero, ma più o meno come una figura politica britannica nativa.
La settimana scorsa ha presieduto una riunione piuttosto caotica lunga una giornata nella sede di Londra di DiEM25. Il nome significa un ‘movimento per la democrazia in Europa 2025 ‘, e l’idea è che entro il 2025 un nuovo tipo di sistema democratico sarà costruito da zero per sostituire le strutture non democratiche dell’attuale Unione europea. Il movimento è stato lanciato a Berlino, e l’idea è che si tratta di un progetto paneuropeo: ma a Londra difficilmente si potrebbe oggi evitare il tema di Brexit. Mentre Varoufakis ripete il messaggio abbastanza semplice di DiEM25 – obiettivo politico fondamentale è la trasparenza del processo decisionale dell’UE – ha in realtà preso una posizione originale sulla questione di Brexit e perciò è diventato temporaneamente un politico britannico.
Alla riunione di DiEM25, gli oratori che si sono succeduti sono stati incoraggiati a fare grandi dichiarazioni su tutte le cose meravigliose che il movimento dovrebbe compiere. Tra gli intervenuti sono inclusi rappresentanti di Podemos dalla Spagna e dei Verdi della Gran Bretagna, ma vi è un evidente problema: gli attivisti più influenti di un paese sono già membri di partiti politici. La risposta dei leader del nuovo movimento è quella scivolosa di dire che non è realmente un partito, così i membri di tutte le parti sono i benvenuti. Una tattica simile adotta il Forum Civico, il ‘movimento’ dissidente di Václav Havel in Cecoslovacchia. ‘Noi non siamo un partito politico’ è un bel messaggio per attirare le persone che non amano i partiti politici, certo, ma il problema è che l’unico modo di competere con i partiti ufficiali è attraverso le elezioni, e se non siete un partito politico non potrete vincere le elezioni. Questo è ciò che è accaduto al Forum Civico. Il suo rifiuto di agire come partito politico ha portato al fallimento totale.
Ma tutti erano in attesa di Varoufakis, e di una cosa specifica: la sua linea sul Brexit.
Gli argomenti sul referendum sono sempre più focalizzati sul problema dell’immigrazione. Le frontiere aperte dell’Unione europea hanno portato a un movimento di massa di migranti economici dall’Europa orientale in Gran Bretagna – .1.5 milioni tra il 2004 e il 2009 – e per qualche motivo gli inglesi hanno reagito molto male all’arrivo di tanti bianchi europei nel paese. David Cameron ha fatto la promessa elettorale di ridurre l’immigrazione a “qualche decine di migliaia” per anno, ma nuove cifre per il 2015 indicano l’immigrazione netta nel Regno Unito a 333.000, 184.000 di cui provenienti da Stati membri dell’UE. Si tratta di una questione complicata. Molti della prima ondata di polacchi e lituani sono adesso tornati a casa: ma l’immigrazione rimane il problema politico numero uno nella mente della gente, e anche se la logica non è affatto chiara, è diventato la questione centrale nelle ultime settimane prima del referendum: come se il vero problema ora fosse se vi piacciono i stranieri.
Varoufakis ha proposto un argomento molto diverso. Dice che lasciare l’Unione europea sarebbe economicamente catastrofico prima per la Gran Bretagna, e poi per l’Europa. Secondo lui, porterebbe al crollo dell’euro e al tipo di depressione che la Grecia sta già vivendo, e che si diffonderebbe in tutta Europa, inclusa la Gran Bretagna. Questo sarebbe per lui un altro trionfo per le élite bancarie, che saranno esenti da questo impoverimento mentre le restanti strutture finanziarie dell’Unione europea si dovranno adattare alla nuova situazione. Il suo discorso è quindi logicamente collegato con la sua analisi dell’Europa in generale, compresa la Grecia.
Qualcuno gli crede in Gran Bretagna? La sua è l’unica voce con questo particolare messaggio di sventura. Nemmeno i suoi partner in DieM25 lo ripetono. Purtroppo, l’elettorato britannico non ha nessuna esperienza dell’euro e quindi non possono vedere questo come un problema centrale. I messaggi economici principali prodotti da Cameron e dal gruppo di ‘Remain’ sono che la Gran Bretagna perderebbe mercati e sarebbe meno competitiva fuori dell’UE; ma anche questo sembra comunque poco importante rispetto al problema dell’immigrazione. Ma Varoufakis, si sa, ha avuto ragione in passato, e tale è l’eloquenza e la popolarità del greco che il suo messaggio, ripetuto in televisione e nelle interviste sui giornali, è diventato un elemento significativo in questo dibattito confuso.
Christopher Lord ha vissuto in nove paesi e parla sette lingue. Tra i suoi libri sono Politics e Parallel Cultures, e il suo giornalismo è stato pubblicato in tutto il mondo.
Yanis Varoufakis si è spostato agevolmente da professore radicale, a ministro delle finanze non riuscito, a celebrità internazionale. Il suo ultimo trionfo è stato persuadere Noam Chomsky a unirsi a DiEM25, il movimento politico internazionale che sta cercando di lanciare. In America, questo lo mette in odore di superstar. In Grecia, resta principalmente il teorico della catastrofe economica greca, che parla in termini tecnici delle specifiche degli interminabili negoziati del paese con la ‘troika’: Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale. Ma vista l’imminenza del referendum in Gran Bretagna, vorrei concentrarmi su un’altra versione di Yanis Varoufakis: la versione inglese.