
Durante il Summit di due giorni tenutosi a Goa, alla presenza dei capi di stato di Brasile, Russia, Cina e Sudafrica, Narendra Modi non ha fatto altro che reiterare il rischio terrorismo internazionale rappresentato dal Pakistan, cercando di spingere gli altri membri dei Brics a seguirlo in una denuncia esplicita ai danni di Islamabad. Piano miseramente fallito e dimostrazione, ennesima, dell’evidente divergenza d’opinione degli stati membri in praticamente ogni aspetto internazionale.
Gli osservatori indiani detrattori di Modi descrivono l’esito dell’ultimo summit dei Brics a Goa come «un disastro». Risultato imputabile a una vecchia e consolidata tradizione diplomatica indiana che, per motivazioni squisitamente interne, tende a imporre la propria agenda nazionale in consessi internazionali, in una dimostrazione muscolare di influenza internazionale che New Delhi forse pensa di avere ma di cui, ancora oggi, non dispone.
Il tema portante del weekend, imposto dal Primo Ministro indiano grazie al ruolo di paese ospitante della riunione, è stato inevitabilmente il problema del terrorismo pakistano. Modi, in una serie di interventi sia durante il summit sia a latere nella riunione tra Brics e Bimstec (Bay of Bengal Initiative for Multi-Sectoral Technical and Economic Cooperation, in pratica un Saarc senza il Pakistan formato da Bangladesh, India, Myanmar, Sri Lanka, Thailandia, Bhutan e Nepal) ha più volte fatto riferimento alla minaccia terroristica di «uno stato vicino», senza mai nominare il Pakistan, descritto via via come «nave madre del terrorismo internazionale» attraverso la quale passano «tutte le sigle del terrorismo internazionale», stato per cui «il terrorismo è diventato il proprio figlio prediletto e il terrorismo, in cambio, ha finito per determinare il carattere e la natura del proprio genitore».
Un pressing che se ha potuto funzionare a livello locale, tra i paesi limitrofi – dove New Delhi gioca la parte del leone – è risultato assolutamente inefficace in un tavolo dove Modi siede circondato da Vladimir Putin e Xi Jinping, politici decisamente più scaltri e avvezzi a muoversi in acque diplomatiche internazionali ben più turbolente di quelle indiane. La pretesa dell’India di proiettare la propria, giustificatissima, ansia pakistanofobica su tutti Bircs non può che essere assurda: il terrorismo pakistano, purtroppo per New Delhi, rappresenta una minaccia concreta solamente per l’India, tra i Brics, mentre Islamabad è partner commerciale e geostrategico sia per Mosca sia per Pechino. Putin e Xi, chiaramente, non hanno nessuno motivo per «scaricare il Pakistan» solo per assecondare la volontà di Modi, e infatti nella dichiarazione finale di Goa non si fa menzione né dell’attacco terroristico di Uri né, soprattutto, di alcuna sigla terroristica pakistana: i Brics, riaffermando la volontà generalissima di «combattere il terrrorismo internazionale», citano esplicitamente solo lo Stato Islamico, effettivamente minaccia su scala globale, tralasciando le varie sigle pakistane come Jaish-e-Mohammad e Lashkar-e-Taiba.
Tralasciando il palese senso di smarrimento di Brasile e Sudafrica in questo contesto – a loro che mai gliene può fregare del terrorismo pakistano? – davanti al pressing indiano Russia e Cina hanno reagito in modalità differenti. Putin, evitando abilmente di ficcarsi in mezzo al fuoco incrociato diplomatico tra New Delhi e Islamabad, si è limitato alla condanna dell’attentato di Uri, senza spingersi oltre e preferendo magnificare il potenziale commerciale bilaterale tra Mosca e New Delhi (nota: della «lista della spesa» presentata dall’India alla Russia sono stati firmati contratti per armamenti, infrastrutture e memorandum d’intesa per oltre 6 miliardi di dollari).
Xi Jinping, per contro, non si è mosso un millimetro dalla posizione cinese rispetto alle questioni indo-pakistane. Nel suo discorso ha esortato tutti i paesi a trovare soluzioni diplomatiche all’interno dei gruppi internazionali come il Saarc (il cui ultimo summit, previsto per il mese di novembre ad Islamabad, è stato fatto saltare dall’India) e la Sco (Shanghai Cooperation Organization, consesso internazionale presieduto dalla Cina dove, dall’anno prossimo, entreranno sia India sia Pakistan come membri permanenti).
La Cina, che recentemente ha bloccato all’Onu la proposta dell’India di iscrivere nell’elenco dei «terroristi internazionali» anche Masood Azhar – fondatore della cellula terrorista pakistana Jaish-e-Mohammad ritenuto, da New Delhi, responsabile dell’attentato a Pathankot, in India, nel mese di gennaio – aveva anche giocato d’astuzia per minare l’entrata dell’India nel Nuclear Suppliers Group, imponendo che la richiesta di membership di New Delhi venisse accorpata a quella, identica, di Islamabad. Entrambe le richieste, probabilmente, verranno respinte. Non c’è dubbio che Pechino intenda tutelare il Pakistan dai progetti di «isolamento internazionale» palesati da Narendra Modi e di certo la potenza di fuoco diplomatica indiana non è in grado di intaccare la strategia di Pechino.
Oltre lo scoglio pakistano, il summit di Goa si è concluso con un sostanziale nulla di fatto, espressione plastica di una comunione d’intenti tra i Brics spesso sbandierata nei comunicati ufficiali ma, in concreto, assolutamente inesistente. Sia da esempio la proposta di fondare un’«agenzia di rating dei Brics» che funzioni da contraltare al trio Standard & Poors, Moody’s e Fitch, che, si legge sull’Indian Express, «sono tutte di Wall Street». Un’agenzia fatta dai membri dei Brics che valuti i membri dei Brics e che abbia un minimo di autorevolezza internazionale è evidentemente un progetto che esonda nell’ambito della science-fiction e infatti i cinque Brics non hanno raggiunto il consenso, se ne riparlerà.
Su Scroll.in è da segnalare un commento firmato da MK Bhadrakumar, ex diplomatico indiano di lungo corso e firma di spicco del The Hindu per temi diplomatici e politica internazionale. Bhadrakumar, oltre a suonare le campane a morto per i Brics per colpa della testardaggine di New Delhi – che, sotto Modi, ha finora condotto una politica internazionale «catastrofica», secondo Bhadrakumar – dà conto di uno scambio di idee tenutosi a Pechino qualche giorno fa, durante una riunione di un think tank cinese. Tra i punti sollevati, l’allargamento dei Brics ad altri stati «per ringiovanire il gruppo» e, soprattutto, l’ipotesi di sostituire l’organizzazione dei Brics con quella in divenire della One Belt One Road, il progetto internazionale varato da Pechino per intensificare i rapporti commerciali lungo la Via della Seta.
Il che la dice lunga su quanto Pechino consideri importante l’istituzione vuota dei Brics.
@majunteo