
Cina e India si incontrano a Xiamen. Le ambizioni cinesi alla leadership dei paesi in via di sviluppo, i timori indiani verso la Belt and Road Initiative di Pechino: tra dissidi e realpolitik, il punto sui rapporti tra le due potenze asiatiche.
A stretto giro dal «lieto fine» dello scontro diplomatico-militare sull’altopiano di Doklam – contesto da Cina e Bhutan – i leader di Cina e India si incontrano oggi al Brics Summit di Xiamen, importante città portuale della provincia del Fujian dove l’attuale presidente cinese Xi Jinping ricoprì la carica di vice-sindaco a metà degli anni Ottanta. Un appuntamento su cui Xi contava molto in termini di ritorno d’immagine: sia a livello internazionale, presentando la Cina come nuova portabandiera della globalizzazione al posto degli Stati Uniti «protezionisti» dell’amministrazione Trump; sia a livello nazionale, consolidando la propria leadership all’interno del Partito comunista cinese (Pcc) in vista del prossimo Congresso, previsto per il mese di ottobre.
Quadretto che oggi subisce inevitabilmente le ripercussioni dell’ultimo test nucleare nordcoreano, con la gestione di Kim Jong-un sempre più spina nel fianco del mandato di Xi Jinping, e che, a livello asiatico, può essere interpretato come una prova del nove dei rapporti tra Pechino e New Delhi.
Per due mesi gli eserciti – non armati – di Cina e India si sono affrontati a muso duro sull’altopiano di Doklam, in Bhutan, in un braccio di ferro geopolitico ingaggiato in risposta alla violazione territoriale cinese denunciata da Thimpu. L’esercito cinese, secondo il Bhutan, stava costruendo una strada in territorio bhutanese, precisamente a ridosso del cosiddetto «chicken neck», una strettoia nell’Himalaya dove si incontrano i confini di Cina, India e Bhutan. A causa dell’importanza strategica del passaggio, l’India è intervenuta «a difesa» del Bhutan, intimando alla Cina di indietreggiare e mantenere lo status quo. Pechino, per contro, ha sostenuto che quel territorio fosse a tutti gli effetti sotto il controllo cinese e che, al limite, la questione sarebbe stata risolta bilateralmente col Bhutan e l’India non c’entrava nulla.
Dopo 60 giorni di parole di fuoco e minacce incrociate delle diplomazie sino-indiane, lo scorso 28 agosto è arrivata la soluzione salva faccia per entrambi. L’india ha annunciato che «gli eserciti di Cina e India si stanno ritirando», mentre Pechino ha dichiarato che «l’India si sta ritirando». Vittoria di Pirro per entrambi, considerando che la Cina è stata tenuta efficacemente in scacco dalla pervicacia di New Delhi, mostrando debolezza, e l’India ha respinto temporaneamente l’avanzata cinese nell’area, con ogni probabilità rimandata a data da destinarsi.
Dalle parti indiane si elogia la lungimiranza della politica estera di Narendra Modi, capace di tenere il punto per due mesi ma anche di tendere la mano all’avversario in vista dell’appuntamento politico di questi giorni. Modi, in un comunicato diramato sabato 2 settembre, ha spiegato: «L’India attribuisce molta importanza ai Brics, che entrano nella seconda decade di partnership per il progresso e per la pace. I Brics hanno dei contributi importanti da apportare ai cambiamenti globali e alla difesa della pace e della sicurezza».
Pochi giorni prima, dalle pagine del Global Times – quotidiano in lingua inglese espressione dei «falchi» di Pechino – arrivava il monito ufficioso della Cina, che esortava New Delhi a maggiori sforzi nell’apertura del proprio mercato e nelle riforme economiche, così da mettere il paese nella posizione di poter contribuire maggiormente al progetto corale dei Brics: far crescere i paesi in via di sviluppo e guidare la comunità internazionale verso un’era di progresso economico diffuso oltre il blocco occidentale.
Nella propaganda cinese le parole sono importanti e non è un caso che l’articolo in questione, diretto al partner indiano, sia letteralmente disseminato di riferimenti alla Belt and Road Initiative (Bri), quella Nuova Via della Seta che Pechino sta sviluppando tessendo una trama di infrastrutture e investimenti che attraverserà, per cominciare, tre continenti: Asia, Europa e Africa. Un progetto che Pechino vede platealmente sovrapposto al consesso dei Brics (che, possiamo dirlo, in realtà non sono altro che Cina + 4 controfigure), in una forzatura che di certo New Delhi non può digerire.
In tutto il continente asiatico India e Bhutan sono gli unici due paesi a non aver aderito alla Bri, per almeno due motivi: il fiume di investimenti cinesi (500 milioni di dollari, per iniziare) diretti in Pakistan per lo sviluppo del China – Pakistan Corridor e, soprattutto, il ruolo di comprimario offerto ai paesi aderenti. Nonostante la retorica cinese sull’internazionalismo del progetto, la Bri è un’iniziativa a traino cinese che, dal punto di vista indiano, rappresenta un gigantesco ostacolo all’ascesa economica e politica a livello mondiale.
Insomma, se da un lato la realpolitik sull’asse Pechino – New Delhi ha contribuito ad abbassare la tensione – la Cina è il primo partner commerciale indiano, con un interscambio superiore ai 70 miliardi di dollari l’anno – dall’altro l’impegno manifesto dei Brics per un’allargamento del «global trade» per l’India rischia di essere un escamotage per nascondere le ambizioni egemoniche cinesi. Per questo, è probabile che Modi spingerà per non inserire nel documento finale del summit un riferimento alla Bri: un progetto che per l’India continua ad essere irricevibile. Chissà per quanto.
@majunteo
Cina e India si incontrano a Xiamen. Le ambizioni cinesi alla leadership dei paesi in via di sviluppo, i timori indiani verso la Belt and Road Initiative di Pechino: tra dissidi e realpolitik, il punto sui rapporti tra le due potenze asiatiche.