Con un titolo allusivo e suggestivo, But a Storm Is Blowing from Paradise cita apertamente l’opera dell’artista iraniano Rokni Haerizadeh, a sua volta ispiratosi al filosofo tedesco Walter Benjamin.
Una sinergia non casuale, dal momento che fino al 5 ottobre 2016 i riflettori del Guggenheim Museum di New York saranno puntati e dedicati alla terza edizione del Guggenheim UBS MAP Global Art, un progetto ambizioso e stimolante che vuole mettere sotto gli occhi dell’Occidente le opere di artisti provenienti dal Sud e Sud-Est asiatico, dall’America Latina, dal Medio Oriente e dal Nord Africa. Un’iniziativa che vuole scommettere e far investire su una parte di mondo tralasciata anche dal punto di vista culturale, ma che ha molto da offrire in termini di testimonianze ed esperienze traducibili in pennellate e scatti, sculture e installazioni.
Per l’edizione di quest’anno, la curatrice del progetto Sara Raza – critica d’arte che ha lavorato a lungo in Medio Oriente – ha invitato diciassette artisti e con loro ha allestito diciotto opere di diverse dimensioni nei due piani espositivi della Tower Gallery del Guggenheim. Spiega la curatrice “La mostra consente agli spettatori di partecipare a una serie di esperienze comuni agli artisti, fornendo una varietà di punti di vista e idee differenti. Un concetto comune a tutte le installazioni è la volontà di mostrare la migrazione di idee e popoli in un’epoca di angoscia, quando le libertà civili e la libertà di movimento sono sotto attacco. In secondo luogo l’architettura è vista come uno strumento ideologico, in particolare in riferimento alle ex potenze coloniali che hanno modellato le regioni mediorientali”.
Un confronto potente quello che aspetta il fruitore davanti ad opere come Latent Images, Diary of a Photographer, 177 Days of Performances della coppia libanese Joana Hadjithomas e Khalil Joreige, un’installazione che affronta l’idea di archivio come strumento per rappresentare il trauma della guerra civile. Il lavoro si compone di 354 libri disposti su 177 scaffali, ognuno contenente una serie di riferimenti – didascalie, descrizioni, titoli – ad immagini riprese da un fotografo immaginario, Abdallah Farah, durante la guerra civile in Libano. L’assenza delle immagini è colmata dalle minuziose descrizioni, i limiti dell’oblio tenuti insieme dal ricordo angoscioso e shoccante.
Una riflessione ormai tristemente scontata quella offerta da Flying Carpets, della tunisina Nadia Kaabi-Linke, un’opera basata su una struttura di acciaio sospesa, la cui ombra risulta essere, non solo metaforicamente, il messaggio cardine. Infatti, la proiezione del profilo dell’opera sulle pareti della sala evoca le frange ed in generale la fisicità dei tappeti, simbolo delle continue, mediaticamente invisibili, migrazioni a cui sono costrette le popolazioni del Nord Africa.
But a Storm Is Blowing from Paradise considera dunque l’impatto che la colonizzazione storicizzata e quella attuale, legata alla globalizzazione, hanno avuto sulle tradizioni del Medio Oriente a livello sociale, religioso, culturale e creativo, lasciando a noi fruitori il compito di interrogarci sugli eccessi e gli intrecci, il senso del limite e le rivendicazioni odierne. “Questa mostra, con le sue idee stimolanti e strategie artistiche senza compromessi, ci aiuta a riflettere su regioni cruciali nel mondo di oggi. Lavorando con artisti di diverse regioni del mondo e il pubblico, siamo in grado di aprire la discussione riguardante diverse storie espresse attraverso l’arte e di creare un museo che rappresenti più fedelmente il mondo in cui viviamo”, le parole di Richard Armstrong, direttore del Museo e della Fondazione omonima. Il Guggenheim ha scelto di investire sull’arte contemporanea orientale e di ampliare in questo senso la propria collezione, acquisendo in tre anni 125 nuove opere selezionate tra quelle esposte dagli artisti invitati ad esporre per il Guggenheim UBS MAP Global Art.
But a Storm Is Blowing from Paradise: Contemporary Art of the Middle East and North Africa
29 aprile – 5 ottobre 2016
Solomon R. Guggenheim, New York