L’enclave di Cabinda è la più settentrionale provincia dell’Angola, che si affaccia sull’oceano Atlantico e si estende per 7.300 kmq tra Congo-Brazzaville e Repubblica democratica del Congo. L’ex possedimento portoghese è abitato da circa 700mila persone, fornisce il 60% del petrolio angolano, ma langue nell’oblio socio-economico.
Il territorio acquisì uno status giuridico a sé stante rispetto alla colonia dell’Angola con il trattato di Simulambuco del 1885. Poi, in seguito, il Portogallo proclamò a più riprese la divisione politica tra Luanda e Cabinda, suffragata anche dai sessanta chilometri di territorio congolese che separano la provincia ribelle dall’Angola. Fino ad arrivare al 1956, quando la madrepatria unì il controllo amministrativo dei due domini d’oltremare.
Dal 1963, l’enclave angolana è perennemente in guerra per rivendicare la propria autonomia, prima contro il dominio coloniale portoghese e poi, dal 1975, contro l’Angola.
Un conflitto a bassa intensità, pressoché ignorato dai media occidentali, che vede di fronte i ribelli del FLEC-FAC (Fronte di liberazione dell’enclave di Cabinda – Forze armate cabindesi) e le truppe delle forze armate dell’Angola (FAA). I separatisti portano avanti la loro guerriglia con attacchi a caserme e stazioni di polizia, a impianti petroliferi e dipendenti delle compagnie straniere.
Sanguinosi scontri si sono registrati tra il 3 e il 10 febbraio nell’area di Necuto, con un bilancio di 18 soldati delle FAA uccisi e dieci feriti nei combattimenti con i ribelli separatisti. Negli ultimi dieci giorni, il movimento di liberazione cabindese ha diramato alcuni comunicati per invitare la popolazione locale a boicottare le elezioni parlamentari, previste per il prossimo agosto, e rivendicare gli attacchi mortali degli ultimi giorni contro i militari angolani.
Nella dichiarazione di mercoledì scorso, a firma del comandante della Brigata Sud Mayombe, tenente generale Alfonso Nzau, il FLEC-FAC ha ribadito che «non accetta la permanenza di una potenza straniera sul suo territorio e mette in guardia tutti i partiti politici angolani senza eccezioni, di non fare campagna elettorale in Cabinda, perché la provincia non appartiene a Luanda».
Nello stesso documento il movimento autonomista «intima alle compagnie petrolifere che operano nella regione di Gold Buco-Zau, nella zona di Mongo Mbucuco, di sospendere immediatamente le loro attività illegali, poiché la loro presenza nel territorio è in contrasto con il divieto di qualsiasi esplorazione nella foresta di Mayombe».
Il conflitto si era attenuato nel 2006, con la firma di un accordo di pace, ma l’intesa non era stata riconosciuta dal Forum cabindese per il dialogo, che riunisce le chiese e la società civile. Le violenze, anche se con un’intensità ridotta, sono continuate ed è continuata anche la repressione da parte dei militari angolani, con la complicità delle società petrolifere straniere presenti nella piccola provincia.
L’acceso all’enclave è controllato militarmente ed è difficile avere notizie precise sulla situazione umanitaria. Anche se un recente rapporto congiunto realizzato da Associazione giustizia, pace e democrazia (AJPD), Osservatorio per la protezione dei difensori dei diritti umani (OPHDRs), Federazione internazionale dei diritti umani (FIDH) e Organizzazione mondiale contro la tortura (OMCT), sostiene che nella provincia angolana i diritti umani sono oggetto di sistematiche violazioni.
Il report evidenzia che in Cabinda si continuano a registrare casi di arresti e detenzioni arbitrarie, restrizioni alla libertà di espressione, di religione, di associazione e di assemblea. Luanda giustifica le misure repressive con la tutela della sicurezza nazionale, accusando i separatisti di attentare all’integrità territoriale dello Stato.
La questione dell’indipendenza di Cabinda guadagnò tragicamente la ribalta delle cronache nel gennaio 2010, quando alcuni appartenenti al FLEC-FAC mitragliarono il pullman che trasportava la nazionale di calcio del Togo, impegnata nella Coppa d’Africa che si disputava in Angola. I ribelli uccisero l’autista, il vice allenatore e l’addetto stampa della squadra.
Il FLEC-FAC ha intensificato i suoi attacchi contro le truppe angolane, dopo l’uscita di scena del suo storico e carismatico leader Nzita Henriques Tiago, scomparso lo scorso 3 giugno a Parigi.
Nel corso dei decenni Tiago si appellò più volte all’Unione africana, alla Francia e al Portogallo perché sostenessero l’autodeterminazione di Cabinda. La comunità internazionale, però, non prese in considerazione i suoi inviti e continuò a sostenere Luanda.
Dal luglio scorso, il gruppo è stato responsabile di oltre cento morti e ha più volte ammonito il governo di Pechino sul rimpatrio di tutti i cinesi impiegati nella produzione di petrolio, la cui presenza nell’area costituisce una palese provocazione.
Il territorio acquisì uno status giuridico a sé stante rispetto alla colonia dell’Angola con il trattato di Simulambuco del 1885. Poi, in seguito, il Portogallo proclamò a più riprese la divisione politica tra Luanda e Cabinda, suffragata anche dai sessanta chilometri di territorio congolese che separano la provincia ribelle dall’Angola. Fino ad arrivare al 1956, quando la madrepatria unì il controllo amministrativo dei due domini d’oltremare.