Un nuovo studio pubblicato su Science rileva che l’aumento delle temperature e il cambiamento dei modelli idrici di riferimento sono tra i principali fattori destabilizzanti in grado di aumentare il rischio di conflitti in Africa.
Il report è stato realizzato da due ricercatori del Dipartimento di Economia agraria e delle risorse territoriali dell’Università di Berkeley, che hanno tratto le loro conclusioni sulla base dell’analisi statistica dei dati provenienti da un report del 2009, oltre all’esame di più di cento studi sugli impatti prodotti dai cambiamenti climatici.
Il documento del 2009 sosteneva che i rischi relativi allo scoppio di un conflitto armato in Africa sarebbero cresciuti di circa il 54%, provocando oltre 393mila morti in battaglia, se entro il 2030 le tendenze climatiche fossero rimaste invariate.
Nell’attuale ricerca sulla connessione tra il clima e l’aumento dei conflitti in Africa, i due studiosi che l’hanno sviluppata, Tamma Carleton e Solomon Hsiang, hanno stabilito che, dal 1980 a oggi, l’aumento delle temperature in Africa sub-sahariana ha accresciuto il rischio di guerre del 11%.
Secondo i due ricercatori, benché il clima non sia chiaramente l’unico fattore che influenza le dinamiche sociali e le performance economiche, le nuove misurazioni quantitative rivelano che si tratta di un elemento importante, spesso con conseguenze di ordine primario.
Il climate change è ritenuto tra le cause dello scoppio del conflitto civile in Siria come della guerra di secessione americana. Inoltre, è importante ricordare che un rapporto pubblicato nel giugno 2007 dal Programma sull’Ambiente delle Nazioni Unite (UNEP), rivelava come il grado di cambiamento nel clima, registrato nel Darfur settentrionale, fosse praticamente senza precedenti con impatti strettamente collegati al conflitto nelle regione stessa.
Pochi giorni dopo la diffusione dello studio UNEP, l’attuale segretario generale uscente delle Nazioni Unite Ban Ki-moon non esitò a definire il conflitto in Darfur come il primo al mondo prodotto da cambiamenti climatici.
Tuttavia, i critici sostengono che questi argomenti rischiano di promuovere una sorta di “riduzionismo climatico” e spesso consentono ai leader politici di giustificare il loro improvvido operato. A riguardo, Carleton e Hsiang sottolineano che alla fine del XIX secolo, le teorie sugli effetti dei cambiamenti climatici furono usate per giustificare l’espansione coloniale europea.
La ricerca ha anche individuato le tendenze climatiche che hanno favorito la crescita della diffusione dell’HIV e innalzato i tassi di mortalità infantile in Africa, oltre a determinare che i mutamenti del clima ridurranno i raccolti nel continente di circa il 20% entro il 2050.
Nell’ultima decade, l’innalzamento delle temperature in Africa è stato particolarmente forte. A causa di questo fenomeno, ogni anno sono scomparsi quattro milioni di ettari di foreste con una media doppia rispetto al resto del mondo, mentre il 50% dei ghiacciai in Uganda si sta ritirando e in Senegal l’urbanizzazione sta riducendo enormemente le aree verdi.
Tutto questo sta avvenendo nonostante i Paesi africani, ancora poco industrializzati, abbiano contribuito in ridottissima parte allo storico accumulo dei gas serra attraverso le emissioni di carbonio (meno del 2,5% tra il 1980 e il 2005).
Ciononostante, rimangono i più vulnerabili agli impatti dei cambiamenti climatici con notevoli conseguenze anche sullo sviluppo e sulla crescita economica, poiché l’incertezza climatica rappresenta una barriera agli investimenti, complicandone la pianificazione a lungo termine e la progettazione di infrastrutture.
Senza contare, che i disastri naturali causati dal riscaldamento globale sono in grado di incidere in modo significativo sulle performance commerciali, che saranno particolarmente penalizzate nei numerosi Paesi africani in cui l’agricoltura costituisce la principale fonte di reddito.
Le temperature più elevate, il prosciugamento dei suoli, l’incremento dei parassiti e dell’incidenza delle malattie, l’aumentato della desertificazione nella regione del Sahara, le inondazioni, la deforestazione e l’erosione sono tutti segni che il cambiamento climatico rappresenta una delle maggiori minacce ambientali, sociali ed economiche che affliggono l’Africa.
Gli sforzi per ridurre questi effetti prevedono progetti internazionali per il ripristino di cento milioni di ettari (circa le dimensioni del Regno Unito) di foresta in tutto il continente e gli impegni a ridurre le emissioni di gas nocivi.
Tuttavia, Carleton e Hsiang ritengono che i politici dovrebbero prestare maggiore attenzione al surriscaldamento climatico per evitare che nuovi conflitti incendino il pianeta. E i risultati sono evidenti in Paesi africani come lo Zimbabwe e l’Etiopia, che stanno subendo le conseguenze della grave siccità causata da El Niño.
Il report è stato realizzato da due ricercatori del Dipartimento di Economia agraria e delle risorse territoriali dell’Università di Berkeley, che hanno tratto le loro conclusioni sulla base dell’analisi statistica dei dati provenienti da un report del 2009, oltre all’esame di più di cento studi sugli impatti prodotti dai cambiamenti climatici.