Dei falsi per obbligare il calcio a devolvere i premi dei Mondiali ai bambini di Gaza.
Fischio d’inizio: il 12 giugno 2014 mentre il Brasile inaugura il Mondiale contro la Croazia allo stadio di Sao Paulo, tre ragazzi israeliani scompaiono da Gush Etzion, una colonia vicino Hebron, in Cisgiordania. I brasiliani esordiscono con una tripletta che fa sognare il Paese, a più di 11mila chilometri di distanza scoppia l’ultimo conflitto Israele-Palestina.
Impigliati tra le due top news dell’estate restano Mesut Ozil, talento di origini turche della Germania allenata da Loew, e Islam Slimani, attaccante dell’Algeria, squadra africana rivelazione al Mondiale. Entrambi musulmani con il dilemma del Ramadan che incombe e la propaganda che li marca stretti. La notizia corre veloce dalla rete alla stampa, andata e ritorno: Ozil e Slimani, con tutti i giocatori della nazionale algerina, avrebbero donato il premio Fifa per la popolazione di Gaza. Tra gli abitanti della Striscia la storia fa presa, nella rete è subito virale.
Ozil, stella della Repubblica federale e dell’Arsenal, si sarebbe impegnato a devolvere 600mila dollari alla causa palestinese. E’ davvero così? Il Maracanà ha appena chiuso i battenti, la cancelliera Merkel ha alzato la Coppa del Mondo al cielo, il calciatore è già partito per le vacanze. Interviene il suo agente con una dichiarazione all’agenzia di stampa AP: “I rumors che Mesut ha donato i soldi a Gaza non sono veri. Forse in futuro, chissà?”, chiosa ambigua.
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Dei falsi per obbligare il calcio a devolvere i premi dei Mondiali ai bambini di Gaza.