Bosnia-Erzegovina, profondamente divisa dalla Guerra balcanica, trova unità nella Coppa del Mondo.
C’è una squadra nata sulle ceneri della guerra dei Balcani che a giugno, in Brasile, debutterà sul palcoscenico globale dei Mondiali di calcio. Rappresenta uno dei paesi più poveri d’Europa, schiacciato dalla crisi, ancora diviso dalle ferite dell’odio etnico. È la Nazionale della Bosnia-Erzegovina che il 30 novembre 1995, nove giorni dopo la firma degli accordi di Dayton che mettevano fine alla guerra dell’ex Jugoslavia, disputò la sua prima partita ufficiale.
Una sconfitta per 2-0 in Albania, le maglie blu comprate all’aeroporto di Zagabria, undici giocatori radunati di fortuna.
Quasi due decenni dopo, l’ottobre scorso, 50mila persone hanno invaso pacificamente le strade di Sarajevo per festeggiare la storica qualificazione della Bosnia ai Mondiali brasiliani. Una notte di euforia collettiva nella città simbolo della polveriera balcanica, la città dell’assedio più lungo della storia moderna, 46 mesi dall’aprile ’92 al febbraio ’96.
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Bosnia-Erzegovina, profondamente divisa dalla Guerra balcanica, trova unità nella Coppa del Mondo.