Matteo Miavaldi, sinologo emigrato nel subcontinente indiano, si occupa di Asia Meridionale come giornalista freelance ed è corrispondente da New Delhi per “il manifesto”.
La politica, l’ansia del tempo che passa e la mania di dover lasciare ad ogni costo un retaggio, un segno tangibile della propria presenza per le generazioni che verranno. In India ce la si sbriga son le statue, pagate dai contribuenti, e il caudillo gujarati Narendra Modi non fa eccezione.
Cosa succederebbe se tutti i mini partiti locali indiani si coalizzassero formando un terzo polo alternativo al Congress e al Bjp? Sarebbe probabilmente il caos più totale, non molto distante dalla situazione attuale della politica indiana.
Domenica Narendra Modi ha tenuto un atteso comizio a Patna, in Bihar, parte della campagna elettorale per le politiche del 2014. Pochi minuti prima, tra la folla, sono scoppiati sei ordigni rudimentali ad orologeria, causando almeno cinque morti e 90 feriti.
La democrazia indiana si anima di partiti e deputati con un’idea della politica come fosse una trattoria a conduzione familiare. Il seggio in parlamento è estensione del patrimonio della famiglia: si tramanda, come un’attività che funziona.
Mentre Singh e Putin chiacchieravano in Russia, nel sud dell’India una delle quattro centrali nucleari di Kudankulam – di tecnologia russa – per la prima volta è stata testata e messa in funzione per un paio d’ore. Ma il nucleare in India non è precisamente osannato dalla popolazione locale.
Una notizia nascosta nei titoletti a fondo pagina butta lì un titolo agghiacciante: ogni giorno nella capitale una persona rimasta senza lavoro si toglie la vita. Uno spaccato legato al miracolo economico indiano, o all’idea che se ne è fatta una parte di India.
Da quando mi occupo del caso dei due marò in India noto una certa propensione della stampa italiana nel scovare casi reputati “simili” alla vicenda dei due fucilieri di marina. Con risultati un po’ melliflui e, spesso, tragicomici.
Il tira e molla sulla salma di Priebke ha fatto riscoprire alla nostra stampa l’orgoglio antifascista – spesso un po’ sonnacchioso – e la vergogna del neonazismo becero di un’esigua minoranza. Ma anche in India, a fascismi vecchi e nuovi, non si scherza.