Il 26 Agosto del 1944, quando gli alleati liberarono Parigi, circa un milione di persone scendevano per le vie della città per festeggiare la liberazione della Ville Lumière dalla morsa nazifascista. All’epoca, non si era mai vista tanta gente per strada, un’esplosione di gioia dopo una lunga sofferenza, un paese trasformato in colonia delle orride armate hitleriane che rivede la luce dopo un lungo tunnel.
La folla aveva invaso tutte le vie della capitale, si trattava di un momento storico unico. Cinquantaquattro anni dopo, il 12 Luglio del 1998, dopo la finale vinta contro il Brasile, la Francia diventava per la prima volta campione del mondo. In quella notte oltre 1,5 milioni di persone sfilavano a Parigi per festeggiare la vittoria di una squadra in cui figuravano calciatori di origine africana, musulmani, cattolici bianchi. Era il trionfo della nazione « Black-Blanc-Beur », una nazione che era riuscita ad integrare, grazie al calcio, le sue differenze e peculiarità. Non contando le manifestazioni sindacali e quelle degli anni ’80, che però mai raggiunsero questi livelli di affluenza, anni dopo, il 1 Maggio del 2002, per la festa del Primo Maggio, oltre 1,5 milioni di persone sfilarono in tutta la Francia (e 500.000 nella sola Parigi) per dire no a Jean-Marie Le Pen come possibile presidente della Repubblica francese. Di lì a poco, ci sarebbe stato un tributo in favore di Jacques Chirac per scongiurare il pericolo Le Pen.
La più grande manifestazione della storia di Francia
La manifestazione dell’11 Gennaio 2015, una manifestazione esplosa come il sussulto democratico di un’intera nazione per denunciare il massacro della redazione di Charlie Hebdo, i poliziotti della scorta, la poliziotta di Montrouge e l’uccisione degli ostaggi nel supermercato kosher alla Porte de Vincennes, ha raccolto quasi 4 milioni di persone in tutta la Francia (quasi 2 milioni nella sola Parigi). Si tratta cioé della più grande manifestazione della storia di Francia. Una marea umana che scandiva « Je Suis Juif, Je suis Musulman, Je suis Flic, Je suis Charlie ». Tutte le sigle erano presenti, un consenso trasversale, condiviso, di tutta la società civile francese, da destra a sinistra, atei, religiosi o semplici cittadini scioccati che si possa attentare alla libertà di espressione e che un commando prenda le armi per uccidere le libere opinioni. « Nous sommes tous concernés », era un altro slogan.

Migliaia di matite, bandiere della Francia, vignette umoristiche, la Francia di tutti i colori e di tutte le religioni, quella del libero pensiero e della forza di esprimere le proprie opinioni, s’è levata contro la barbarie. « Nous sommes un peuple » titolava il giorno dopo il quotidiano Libération presso il quale s’è rifugiata oggi ciò che resta della redazione di Charlie Hebdo che prepara il nuovo numero a 3 milioni di copie.
Capi di stato e governi liberticidi, il corteo contraddittorio
Il loro défilé è durato pressappoco 300 metri ma ha suscitato vive reazioni. Alla testa del corteo oltre cinquanta capi di stato come Hollande, la Merkel, Cameron, Renzi, il presidente palestinese Abbas, il re e la regina di Giordania e la presenza, molto controversa, del primo ministro israeliano Netanyahou. Importante, certo, costruire una solidarietà internazionale di fronte alla minaccia terroristica ma dall’altro, come denunciato da Reporters Sans Frontières stesso, erano presenti capi di stato che sono tutto fuorché difensori della libertà di stampa. Primo fra tutti il primo ministro turco Ahmet Davutoglu che ha definito l’attentato a Charlie come « un attacco all’Islam ». Ironico che si veda sfilare per il rispetto della libertà di stampa il premier di un paese nelle cui prigioni sono rinchiusi circa 80 giornalisti e che è al 154esimo posto su 180 per il rispetto della libertà di stampa nella classifica stilata da RSF. Presente anche il capo della diplomazia russa Lavrov, ma la Russia non sta messa molto meglio perché è al 148esimo posto. La stessa presenza del ministro dell’economia israeliano, che secondo Le Monde si è ventato di aver ucciso molti arabi, è molto discussa (Israele è al 96esimo posto). Il presidente della repubblica del Gabon Ali Bongo (il Gabon è al 98esimo posto), il capo del governo ungherese Viktor Orban il cui paese è 64esimo. Insomma un corteo di capi di stato giudicato da molti « ipocrita ».
Musulmani ed ebrei di Francia, chiaroscuri e paure
Da un lato la paura dell’amalgama, della frattura sociale, del rigurgito dell’estrema destra contro l’Islam di Francia che però ha partecipato in massa alla manifestazione.

Ma ci sono state anche molte voci fuori dal coro, come quella del « Je ne suis pas Charlie » ovvero dei musulmani che hanno condannato l’attentato ma che non condividono la linea editoriale di Charlie Hebdo che ha offeso l’Islam. I musulmani hanno anche paura dopo gli attacchi violenti a moschee e sale di preghiera che si sono moltiplicati sul suolo francese dopo gli attentati. Dall’altro lato per le comunità ebraiche all’orizzonte c’è la paura di voler lasciare la Francia per raggiungere Israele, dato che in Francia non si sentono più sicuri. Le parole di Netanyahou (« il focolare per gli ebrei di Francia è Israele ») hanno provocato la risposta ferma del primo ministro francese Valls che ha detto : « Senza gli ebrei di Francia la Francia non è la Francia ». Ma intanto i numeri dicono il contrario. Nel solo 2014 circa 7.000 ebrei hanno lasciato la Francia per andarsi a stabilire in Israele. Un vero e proprio esodo.
@marco_cesario
Il 26 Agosto del 1944, quando gli alleati liberarono Parigi, circa un milione di persone scendevano per le vie della città per festeggiare la liberazione della Ville Lumière dalla morsa nazifascista. All’epoca, non si era mai vista tanta gente per strada, un’esplosione di gioia dopo una lunga sofferenza, un paese trasformato in colonia delle orride armate hitleriane che rivede la luce dopo un lungo tunnel.