Le sue convinzioni su Brexit e politica economica inquadrano l’idea di un’Inghilterra progressista impegnata a restituire protagonismo alla working class ma non illiberale dal punto di vista del libero mercato.
Le recenti elezioni in Inghilterra hanno visto tornare i laburisti alla guida del governo. Nonostante la vittoria fosse già stata ampiamente prevista e annunciata sia dagli esperti che dagli stessi leader politici, essa ha un innegabile valore e riverbero a livello nazionale ed internazionale. Difficile dire quanto la storia del protagonista di queste elezioni – il leader laburista Keir Starmer – sia stata determinante per ottenere la più ampia maggioranza che il partito abbia mai ottenuto dalla sua fondazione (412 seggi).
Risulta però evidente che la figura di Starmer incarna e rappresenta perfettamente molti elementi dell’ideologia politica laburista, egli proviene da una famiglia della working class; il padre era un operaio e la madre un’infermiera. Ha studiato legge presso l’Università di Leeds, dove si è laureato e ha poi completato il suo dottorato di ricerca presso il St Edmund Hall dell’Università di Oxford, proseguendo con una carriera da avvocato specializzato in diritti umani.
Il suo è un profilo professionale e personale che s’incardina inequivocabilmente nelle più recenti battaglie portate avanti dal partito laburista di cui è esponente fin dal suo ingresso in parlamento nel 2015. Inoltre, le sue convinzioni su Brexit e sulle riforme di politica economica inquadrano l’idea di un’Inghilterra progressista impegnata a restituire protagonismo alla working class ma non illiberale dal punto di vista del libero mercato. Dopo 14 anni di governo conservatore, Starmer è quindi il campione giusto al momento giusto, che ha saputo rinsaldare il partito e gli elettori intorno alla sua figura, in un momento di reale difficoltà per gli avversari Conservatori.
Emblematiche sono inoltre le differenze tra Starmer ed il suo predecessore Corbyn. Sono proprio gli approcci a determinati temi e la cultura politica di fondo a dirci molto non solo della figura del nuovo Primo Ministro ma anche delle motivazioni di questa vittoria.
Starmer ha infatti vinto non solo fuori ma soprattutto all’interno del suo partito, mettendo all’angolo l’ala del partito più estremista, diremmo Corbiniana, molto critica verso le teorie economiche liberiste, verso il libero mercato e, dal punto di vista della politica estera, verso Israele, il ruolo della NATO e dello “US-led global order”. Starmer si è discostato da molti di questi elementi politico-ideologici, scolpendo la sua figura politica con pragmatismo e ribaltando il Laburismo di sinistra, che ereditò ad inizio 2020, rendendolo un partito che da sinistra guarda al centro, rassicurante anche sui temi economici e sulla posizione internazionale del paese.
Starmer si è affidato a slogan che richiamano l’idea di un partito al servizio della Nazione e dei lavoratori, riuscendo così a massimizzare il risultato elettorale, parlando all’anima di sinistra ma anche a quella più centrista e moderata. Nel suo discorso risultano molto chiari ed espliciti, nonostante la mitezza personale, i riferimenti ad un’ideologia politica di centro sinistra, volta a rassicurare una popolazione ed un paese in grave difficoltà e che sembra aver perso la fiducia degli elettori. Frasi come: “Country first, party second” o ancora “We’ve changed the Labour Party, returned it to service”, così come la parola “Change”, che è assurta a mantra della campagna elettorale e della sfida politica lanciata da Starmer, sono distillati ideal-politici che indicano la volontà e la necessità del leader di consolidare consenso e affidabilità, rispetto ad un momento storico complesso e sfide decisive.
L’analisi della vittoria elettorale del partito di Starmer porta con sé una domanda implicita: ha vinto il Labour o hanno perso i Conservatori? Noi propenderemmo per la seconda, nei termini non tanto di un ridimensionamento della vittoria e delle capacità politiche e di leadership del nuovo Primo ministro, quanto piuttosto di una quasi eutanasia conservatrice. Tale (auto)indotta dipartita dei Tories è stata provocata dagli scandali ma ancor di più dalle scelte infelici prodotte in 14 anni di governo: dai tagli alla spesa sociale, alla inedita instabilità politica prodotta dalla scelta della Brexit (6 governi, 5 premier e 2 elezioni anticipate in pochi anni) che ha disorientato i cittadini; passando per un impoverimento generale della popolazione e del potere di acquisto causato da un’inflazione superiore a quella dei vicini europei. A ciò si aggiunga il “dazio Brexit”, cioè i costi supplementari dovuti al ritorno ai controlli doganali. L’immigrazione, inoltre, sia quella regolare sia quella dei clandestini sulla Manica, è fortemente aumentata e la minaccia di deportazione in Rwanda non è servita da deterrente anzi ha dimostrato l’incapacità dei conservatori di gestire il problema che stava crescendo. Un partito dunque, quello dei Tories, dilaniato dalla sua stessa incapacità di discernimento e dalla poca lungimiranza politica.
La “landslide” politica dei laburisti apre la vera partita che inizia adesso. Nonostante Sir Keir Stamer sia il leader politico giusto per un paese che si sente tradito dalla sua classe dirigente, dovrà dare prova della stessa serietà e determinazione che ha avuto all’interno del suo partito per poter raggiungere dei risultati concreti – quel “Change” è in attesa – e per non finire nel dimenticatoio, come uno dei governi alternatisi nella recente storia politica britannica. Inoltre, il “mite” Starmer, dovrà anche confrontarsi con un fenomeno prodotto e alimentatosi con la sconfitta dei Tories e che replica una tendenza europea se non globale. Questa tornata elettorale ha infatti portato a Westminster, per la prima volta, una formazione a destra dei Tory.
Il partito di Nigel Farage, Reform UK, “the creature of populism”, ha ottenuto un risultato migliore del previsto e soprattutto è entrato nel cuore del potere politico. Farage ci aveva provato numerose volte, senza successo, ora il tracollo dei Conservatori gli ha aperto la strada.
“The Great Challege” per Sir Starmer sarà però contro sé stesso e contro la capacità politica e dirigenziale del partito che è stato incaricato di risollevare il paese. Il nuovo Premier ha evitato di fare promesse precise soprattutto su temi ritenuti divisivi ma il dado è tratto e i problemi con cui confrontarsi non tarderanno a palesarsi. I tempi accelerati del sistema politico inglese lo vedranno già insediarsi il 17 luglio dopo il discorso del re che aprirà ufficialmente il parlamento.
Starmer sta già mettendo mano alla sua squadra di governo e ha nominato le prime posizioni chiave conferite a due donne: Angela Rayner, nominata vicepremier, mentre Rachel Reeves ricoprirà il ruolo di cancelliera dello Scacchiere. Inoltre, sono stati indicati David Lemmy come Ministro degli Esteri, John Haley alla Difesa e Liz Kendall Ministra del Lavoro.
Le prime sfide che il governo Starmer dovrà affrontare saranno incentrate sulla politica estera, con la partecipazione del nuovo Primo ministro al Vertice NATO iniziato il 9 luglio e la riunione della Comunità politica europea. Inoltre, i laburisti hanno intenzione di cancellare alcuni retaggi del precedente governo come il “Programma Rwanda” e affrontare lo sciopero dei medici che da mesi affligge il paese. Il tema economico rimane uno dei più attenzionati, non solo dall’opinione pubblica inglese ma anche dalla comunità internazionale. A tal proposito il nuovo governo dovrà presto confrontarsi con quella che forse è la problematica più sfidante, ovvero la legge di bilancio, che secondo il programma laburista sarà guidata dal principio squisitamente di sinistra, di tassare i ricchi. Il programma prevede, tra l’altro, l’introduzione dell’iva sulle scuole private e l’ampliamento della tassazione sugli extraprofitti delle aziende energetiche.
I laburisti sono consapevoli delle difficoltà che si trovano ad affrontare e il loro leader ha chiesto al Regno di unirsi ad un “governo di servizio” al servizio del Paese; nel tentativo di ricostruire e rinnovare l’Inghilterra e la sua economia: all’insegna di confini più sicuri, maggiori risorse al sistema sanitario, rispetto per la dignità di tutti e opportunità dalle fonti di energia verdi. Questi gli obiettivi del governo Starmer, definiti ancorché non promessi ma è sul centrarli o meno e in quale misura che rimane appeso il suo governo e la stessa Inghilterra.
Le recenti elezioni in Inghilterra hanno visto tornare i laburisti alla guida del governo. Nonostante la vittoria fosse già stata ampiamente prevista e annunciata sia dagli esperti che dagli stessi leader politici, essa ha un innegabile valore e riverbero a livello nazionale ed internazionale. Difficile dire quanto la storia del protagonista di queste elezioni – il leader laburista Keir Starmer – sia stata determinante per ottenere la più ampia maggioranza che il partito abbia mai ottenuto dalla sua fondazione (412 seggi).
Risulta però evidente che la figura di Starmer incarna e rappresenta perfettamente molti elementi dell’ideologia politica laburista, egli proviene da una famiglia della working class; il padre era un operaio e la madre un’infermiera. Ha studiato legge presso l’Università di Leeds, dove si è laureato e ha poi completato il suo dottorato di ricerca presso il St Edmund Hall dell’Università di Oxford, proseguendo con una carriera da avvocato specializzato in diritti umani.